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Il termine sufismo (tasawwuf) designa convenzionalmente il vasto e vario ambito di esperienze spirituali, pratiche sociali, dottrine religiose e filosofiche che formano, secondo la definizione ormai classica di Annemarie Schimmel, «le dimensioni mistiche dell’Islam». Il denominatore comune di tale complessa trama di esperienze e dottrine può essere rintracciato in uno sforzo di approfondimento ed interiorizzazione delle nozioni centrali della professione di fede islamica: il tawhid (monoteismo, affermazione dell’unicità di Dio) ed il riconoscimento della missione profetica di Muhammad, con annesso obbligo di adesione, tanto interiore quanto esteriore, alla Legge divinamente fondata (ovvero, concretamente, la shari’a islamica, in quanto basata sul Corano e sulla Sunna).
Pur nella grande varietà di posizioni espresse dai diversi autori su questioni particolari, nella letteratura sufi lo sviluppo storico del sufismo viene concordemente posto in una linea di continuità diretta con le esperienze spirituali delle prime generazioni musulmane e dello stesso Profeta Muhammad, spesso indicato come il primo e insuperato modello del sufismo, per la sua capacità di unire dimensioni “interiori” ed “esteriori” dell’Islam. Questo “paradigma della continuità” ha consentito agli autori sufi, dal III-IV secolo dell’Egira (IX-X d.C.) in poi, di “appropriarsi” di una multiforme schiera di personalità ascetiche e mistiche emerse nei primi due secoli dell’Islam, che essi hanno costantemente rappresentato come modelli e precursori del sufismo. Su ciascuno di questi (veri o presunti) “proto-sufi” sono fiorite, nel corso del tempo, varie tradizioni biografiche ed agiografiche, che presentano spesso vistosi limiti dal punto di vista della fact history, ma che rivestono comunque un notevole interesse per una storia delle idee, delle mentalità e pratiche sociali. (…)
La tradizionale periodizzazione della storia della spiritualità islamica proposta nella letteratura sufi, peraltro generalmente accolta anche in sede accademica, sia in ambito occidentale che in ambito islamico, (…) si articola in tre grandi fasi, secondo lo schema di una progressiva evoluzione da un semplice ascetismo (primi due secoli dell’islam; secc. VII-VIII d.C.) a sempre più approfondite e complesse nozioni ed esperienze di carattere mistico (secc. IX-XII d.C.), e fino alla simultanea fioritura, nel cosiddetto “secolo d’oro del sufismo” (sec. XIII d.C.), delle “confraternite sufi” e del “sufismo filosofico”, due fenomeni le cui complesse interazioni hanno modulato i successivi sviluppi storici della mistica musulmana fino all’epoca presente.
In questo sistema di rappresentazioni, assume un’importanza cruciale il tema della “incorporazione” dell’esperienza religiosa. In forme diverse secondo le diverse fasi storiche e le differenti tendenze dottrinali e vicende individuali, il corpo è costantemente al centro dell’esperienza spirituale. Per gli asceti delle prime generazioni, il corpo è innanzitutto lo strumento dell’obbedienza a Dio, in un atteggiamento di “rinuncia al mondo” (zuhd) che si traduce in una grande varietà di forme e di esperienze. Se alcuni di questi personaggi, come Ibrahlm Ibn Adham (m. 782 ca.) o Farqad al-Sabakhi (m. 729), si impongono pratiche di eccezionale rigore, molti di essi intendono la «rinuncia» come un atteggiamento eminentemente interiore, compatibile con l’impegno nella società (anche attraverso il lavoro e la vita coniugale) e con una moderata fruizione dei beni terreni. In aggiunta agli obblighi comuni per tutti i musulmani, tutti questi asceti si impegnano comunque in varie pratiche supererogatorie che diverranno caratteristiche dell’esperienza sufi: veglie di preghiera, moltiplicazione dei digiuni nel corso dell’anno, reiterazione del pellegrinaggio. Il corpo diviene così il terreno della lotta del credente contro le tendenze del proprio ego, che i sufi chiameranno «combattimento contro se stesso / contro la propria anima».
(da G. Cecere, Santità e martirio nell’Islam sunnita: il contributo della letteratura agiografica, in R. Salvarani, G. Cecere, M. Di Taranto, Violenza, corpo, identità. Il martirio nei tre monoteismi, Bologna, Pàtron, 2022, pp. 114-117)
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