La narrazione è la pratica discorsiva mediante la quale un narratore e un destinatario mettono in comune una storia. Nella vita quotidiana, essa si può dispiegare in relazioni sociali diverse, da cui è determinata e che contribuisce a determinare. Non a tutti si raccontano le medesime storie: contenuti e funzioni della narrazione dipendono dal tipo di destinatario a cui ci si rivolge. Nel mondo contemporaneo, il carattere privato e idealmente gratuito dell’amicizia sembra disegnare quest’ultima come una relazione in cui possono aver luogo narrazioni in cui le funzioni di utilità o di intrattenimento che caratterizzano la maggior parte delle narrazioni quotidiane passano in second’ordine rispetto a funzioni che riguardano da un lato l’investigazione del significato delle cose che accadono, e dall’altro la richiesta di un riconoscimento reciproco. Luogo potenzialmente privilegiato della passione e del senso, l’amicizia è quella relazione in cui ci si riconosce reciprocamente la dignità di testimoni dell’esistenza.
Cosa accadrebbe se costruissimo degli story-budgets? Sarebbero dei “bilanci delle storie”, la registrazione delle storie che raccontiamo e ascoltiamo. Si tratterebbe di chiedere a ciascuno quando racconta o ascolta un racconto, con chi, in quali situazioni […]. Se decidessimo di includerla nella rilevazione, la parte dei racconti forniti dalle grandi agenzie narrative del mondo attuale – la televisione, il cinema, la carta stampata – sarebbe preponderante. Ma resterebbe uno spazio assai ampio riempito dalle narrazioni che si svolgono all’interno delle nostre conversazioni, dove le storie sono l’oggetto di uno scambio sociale fra le persone che si guardano in faccia. Certo, il narratore quotidiano deve fare i conti con la fretta: il ritmo della vita quotidiana gli concede spazi ridotti. Inoltre, le storie che ci si racconta quotidianamente […] raramente aprono mondi di possibilità straordinarie. Nella vita ordinaria si tratta soprattutto di accordarsi sullo statuto di una comune realtà, di definire le reciproche identità, di consolidare le appartenenze. Così è nei racconti fra amici […]. Dire “cosa è successo” è trasmettere certe conoscenze sulla realtà e interpretarla, ma è anche rinsaldare il legame, ricostituire il tessuto di una continuità del rapporto che è fatto di sapere reciproco […]. Nella narrazione l’intreccio ha qualcosa di fisico. Le storie, le racconta qualcuno. E c’è qualcuno che ascolta. Così, sono fra di noi. O propriamente costruiscono il “noi”: noi qui legati dall’atto della narrazione, noi che conosceremo la stessa storia […].
Per quanto riguarda i contesti amicali, una variabile importante è l’età dei partecipanti. Fra i ragazzi, oggetto dei racconti sono avventure ordinarie, spesso amplificate fino ad apparire “straordinarie” grazie a iperboli o a toni eccitati. La narrazione è ricca di onomatopee e di espressioni gergali; come e più della conversazione quotidiana degli adulti, è spesso ellittica, piena di vuoti e sottintesi che gli interlocutori devono riempire. Si possono raccontare le vicende di divi, personaggi sportivi o figure esemplari: mettere le storie in comune è mettere in comune l’immaginario, i simboli e i miti che lo abitano. Ma i media sono anche strumenti di consolidamento e diffusione dei generi e dei formati che la narrazione può assumere, e la propensione dei ragazzi al gioco mimetico fa sì che gli stili proposti dai personaggi televisivi, dalle trasmissioni di maggior richiamo o dalla stessa pubblicità siano ripresi, imitati e ricomposti incessantemente in affabulazioni in cui si consolida l’intesa del gruppo. Fra i giovani un poco più grandi fa la sua comparsa il racconto di sé: in gruppi più intimi, con l’amico o l’amica del cuore, il racconto si spinge verso una dimensione investigativa, verso il confronto con le proprie emozioni, la valutazione delle proprie capacità, delle proprie predisposizioni, in uno scrutare che è insieme ricerca di riconoscimento del sé e tentativo di delineare il futuro […]. Quanto agli adulti, ogni gruppo ha le sue storie e i momenti in cui si raccontano. Certo i momenti in cui […] ci si radunava svolgendo attività meccaniche che richiedevano poca attenzione, e che erano così momenti perfetti per fare andare la lingua, oggi sono sempre più rari […]. Ma ci sono le sale da tè, e ci sono le cene, i dopocena fra amici. Ogni gruppo ha i suoi temi preferiti; le ripetizioni non mancano: quando un gruppo di amici si ritrova dopo un certo tempo, gran parte
della conversazione è spesso un ritornare sugli stessi racconti, specie quelli che riguardano cose fatte insieme, o aneddoti che costituiscono qualcosa dell’identità – per quanto temporanea o precaria – del gruppo stesso […].
Quando scrivere lettere era più frequente di oggi, la posta era un veicolo di racconti da persona a persona. In parte lo è ancora, specie fra chi è lontano. Ma il telefono ha sottratto alle lettere gran parte del loro ruolo. Quanto a Internet, il caso è intrigante. Che la comunicazione telematica possa favorire la nascita di “storie” fra le persone è sicuro, ma ciò non significa che favorisca le storie intese come l’oggetto di una narrazione. Di fatto, nei “gruppi di discussione” e nelle home pages personali i racconti non com-paiono più spesso di quanto non capiti nelle conversazioni ordinarie, o forse compaiono addirittura di meno: ciò che si scambia sono piuttosto dichiarazioni di gusti e opinioni, immagini, informazioni […]. Vale dunque la regola generale: mettere storie in comune significa creare o consolidare una comunità.
(da P. Jedlowski, Storie comuni, Milano, Bruno Mondadori, 2000, pp. 94-99)
Riferimenti Bibliografici
- M. Bachtin, L’autore e l’eroe, Torino, Einaudi, 1988.*
- W. Benjamin, Il narratore, in Id., Angelus Novus, Torino, Einaudi, 1966.*
- P. Brooks, Trame, Torino, Einaudi, 1995.
- J. Bruner, La costruzione narrativa della realtà, in M. Ammaniti e D.N. Stern (a cura di), Rappresentazioni e narrazioni, Roma-Bari, Laterza, 1991.*
- A. Cavarero, Tu che mi guardi, tu che mi racconti, Milano, Feltrinelli, 1997.*
- P. Ricoeur, Tempo e racconto, Milano, Jaca Book, 1986-1988, 3 voll.*
- G. Simmel, La socievolezza, Roma, Armando, 1997.*
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