Nella coscienza neotestamentaria e cristiana Gesù è il martire per eccellenza: egli stesso, in Gv, di fronte a Pilato, proclama: «Sono venuto a render testimonianza (martyria) alla verità» (Gv 18,37. Cfr. 3,11.32ss.). Gv 5 offre la chiave di lettura di questa dichiarazione. L’esperienza della Verità vissuta nell’“ubbidienza” a Colui che lo ha mandato, vale a dire, nell’intimità con il Padre, ne impregna l’essere, l’agire e la coscienza; si fa convinzione, progetto, impegno e realizzazione: la sua esistenza è rivelazione del Padre, testimonianza della Verità: egli stesso Via, Verità e Vita. Testimonio fedele lo proclama espressamente Ap 1,5; 3,14.
Gesù martire crocifisso realizza la figura della testimonianza sofferente, e come modello la offre alla chiesa. La testimonianza alla quale il discepolo di Gesù è chiamato ha indubbia, ma non prioritaria valenza etica; sorge dalla comunione e dalla coerenza con Gesù, e si dispiega in infinite forme, figure, e livelli; ha valore di dichiarazione, nella quale il testimone si offre come garante, in forza dell’esperienza del discepolato, dell’intimità con Dio, dunque della fede, della speranza, dell’amore. Il martirio, dalle modalità molteplici della testimonianza, sino all’accettazione della morte violenza, è assimilazione al Gesù crocifisso, all’evento trinitario della croce. La morte, peraltro, rappresenta il momento e la figura suprema del martirio non solo come morte violenta, inflitta ai “martiri”, ma nella sua dimensione antropologica universale, come morte di tutti, in quanto assume la formalità di “morte in Cristo” e si istituisce come memoria passionis. Queste che possiamo indicare come dimensioni teologiche essenziali della martyria cristiana strutturano la lunga storia della loro concreta realizzazione, scandendola in una sorprendente varietà di figure, che solo un’insufficiente riflessione permette di omologare riconducendole a tratti del tutto generici e preconcetti.
La testimonianza resa alla fede è divenuta problematica, ai tempi nostri, per le nuove condizioni nelle quali la fede è vissuta e apprezzata o combattuta, sino a profilare una nuova comprensione del martirio, che pur nella linea della tradizione (cf. CCC n. 2473), è stata sollecitata dalla problematica sorta dalla nuova comprensione di temi quali la confessio, il rapporto tra la verità oggettiva e il motivo soggettivo (eventualmente ideologico) del martirio: e ancora la libertà, la tolleranza, il potere, l’ortoprassi; e in riferimento ai valori della vita, della giustizia, della pace, in un mondo di oppressione.
La formula “martiri per la giustizia”, avallata da Giovani Paolo II, indica nella direzione di una nuova comprensione ecclesiale e di un nuovo necessario ripensamento teologico, capaci di cogliere e interpretare le nuove figure della testimonianza cristiana e, senza pretese di cattura, o indebiti alleggerimenti ed estenuazioni del rigore della nozione, la riproponga nella sua esemplarità al cristiano e all’uomo di oggi.
Riferimenti Bibliografici
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