Nella filosofia di Locke, il processo di appropriazione riguarda due aspetti: in primo luogo esso parte dalla “proprietà del sé” a cui torna, riproducendola; in secondo luogo si fonda su una presupposizione reciproca della coscienza di sé da parte della proprietà di sé, e della proprietà di sé da parte della coscienza di sé. Questo doppio movimento circolare è il cuore dell’antropologia politica di Locke, che permette di costituire la sfera pubblica come sistema universale di comunicazione e di obbligazione tra libere individualità private. È l’origine delle teorie del “commercio” o della “società civile”, nel senso moderno del termine.
Nella filosofia di Rousseau, si tenta con forza di contrastare questa costruzione in modo da ricondurre la modernità ad un modello di “comunità di cittadini” ispirata all’antichità. È questa finzione di arcaismo che farà di Rousseau, secondo l’espressione di Louis-Sébastien Mercier, “uno dei primi autori della Rivoluzione”, che fornirà ai nuovi modelli del periodo rivoluzionario il linguaggio con cui esprimere i propri antagonismi. È noto che questo rovesciamento si esprime, dal Secondo discorso al Contratto Sociale, attraverso una critica radicale della proprietà privata in quanto fondamento del legame sociale, e attraverso la sua subordinazione ad un ordine giuridico interamente fondato sulla trasparenza della volontà generale, o sulla promozione del popolo al rango di individualità trascendentale.
Ma l’antropologia che corrisponde a questo movimento di depropriazione o disappropriazione non è stato ancora ben compreso soprattutto perché il suo studio manca di basi comparative. A questo riguardo, l’opera di Macpherson, a dispetto delle obiezioni che suscita, è davvero fondamentale: essa ha avuto il merito di proporre un’assiomatica dell'” individualismo possessivo” le cui proposizioni possono essere sistematicamente variate e discusse. Rispetto a Locke, Rousseau è dalla parte di Hobbes, nella misura in cui, anche se per ragioni politiche opposte, entrambi rifiutano l’idea di una ” proprietà di sé” dell’individuo. Significa tuttavia dire che “l’uomo” in società si riassorbe interamente nella cittadinanza (o il “sé” con la sua “coscienza” si riassorbe nell’universalità della volontà generale)? Al contrario, le sfugge irrimediabilmente: non nella sua definizione generica (“diritti dell’uomo” rispetto a “diritti del cittadino”), ma in una figura “universalmente singolare” che è quella della donna, portatrice della differenza (o meglio, come scrive Derrida, della differanza/différance) di cui la soggettività sessuata, irriducibile al ” noi””, forma la vera alternativa all’alienazione politica. Tale è il termine della disappropriazione.
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