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Il termine “democrazia rappresentativa” indica la complessità, la ricchezza e l’unicità dell’ordine politico dei moderni, una sintesi originale di due distinte, e per certi aspetti alternative, tradizioni politiche. “Democrazia”, una parola greca priva di un equivalente latino, significa governo diretto del popolo (“fare succedere le cose” operando insieme o “making things done”, come Josiah Ober traduce demokratia). “Rappresentanza”, una parola latina priva di un equivalente greco, implica l’azione delegata da parte di qualcuno per conto di qualcun altro. In quanto miscela di queste due componenti, nel suo significato consueto la democrazia rappresentativa ha quattro caratteristiche principali: a) la sovranità del popolo espressa mediante l’elezione dei rappresentanti; b) la rappresentanza come relazione di libero mandato; c) un meccanismo elettorale che assicuri un certo grado di responsabilità verso il popolo da parte dei rappresentanti che parlano e agiscono in suo nome; d) il suffragio universale che fonda la rappresentanza sull’uguaglianza politica. L’elemento centrale di questa descrizione risiede nel fatto che i collegi elettorali sono formalmente definiti dagli elettori che abitano un territorio (da un numero di cittadini-elettori), non da identità culturali o da interessi economici o aziendali, un criterio questo della residenza che appartiene alla democrazia sin dalla riforma di Clistene dei demi di Atene nel sesto secolo a.C.: in quasi ogni democrazia esistente, i cittadini sono rappresentati attraverso il luogo in cui vivono come entità tra loro identiche o unità numeriche. Questa elementare uguaglianza formale nella distribuzione del potere di voto tra i cittadini adulti dà il marchio della legittima autorizzazione a un governo che dipende dal consenso elettorale, non dalla presenza diretta del popolo nel processo legislativo. Come vedremo, questa identificazione di elettore e cittadino, di unità omogenea astratta e diversità empirica concreta, è stata una delle prime e più importanti obiezioni mosse alla democrazia per via elettorale. Poiché la democrazia rappresentativa è in primo luogo il nome di una forma di governo, il riferimento alla sovranità del popolo e all’autorizzazione è essenziale, non accessorio. (…) La democrazia ha sempre dimostrato di avere una notevole capacità immaginativa nell’ideare e trasformare istituzioni e procedure per rispondere ai problemi generati dall’agire politico collettivo e difendere i propri fondamenti. Per esempio, Atene con i nomothetai (commissione giudicatrice di sorteggiati aventi il compito di controllare il modo di presentare le proposte di legge) volle costituzionalizzare l’attività dell’assemblea dall’interno, cioè senza creare una corte autonoma di controllo formata da membri selezionati con metodi di nomina non democratici. Mentre, a partire dal diciottesimo secolo, le società occidentali in via di democratizzazione hanno creato convenzioni e assemblee costituenti per dare legittimità all’operato della legislazione ordinaria. Con le due forme di assemblea, quella costituzionale e quella parlamentare ordinaria, le società democratiche moderne hanno cercato, e vi sono riuscite con successo, di armonizzare due esigenze in un modo che non era riuscito agli antichi: garantire il principio di legittimità per consenso e con la regola di maggioranza e contemporaneamente il principio di libertà individuale contro le stesse decisioni prese a maggioranza (tra l’altro, senza la libertà individuale il governo per mezzo della discussione non poteva esistere; per questa ragione proteggendo tale diritto le democrazie costituzionali avevano trovato un modo di proteggere se stesse).
(da N. Urbinati, Democrazia in diretta. Le nuove sfide alla rappresentanza, Milano, Feltrinelli, 2013, pp. 89, 104)*
Le conferenze del ciclo Progresso saranno trasmesse in diretta web sul sito http://www.fondazionesancarlo.it//
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