L’etica interculturale (e naturalmente l’accento va posto sulle culture come articolato e complesso fenomeno, non solo intellettuale, ma anche sociale, politico, religioso ed economico) non è configurabile come la ricerca di una totalità valoriale di tipo universalistico che releghi, di conseguenza, sullo sfondo i problemi del riconoscimento e della realizzazione contestuale delle capacità di vita individuali. Anche a tal proposito si tratta di sfuggire – per dare senso e credibilità all’etica interculturale – alla secca e improduttiva alternativa tra universalismo e contestualismo, e ciò è possibile nella misura in cui si pensa (e si realizza altresì nella pratica) un’idea di vita umana che presenta contemporaneamente gli aspetti contestuali e trasformativi di esperienze morali individuali differenziali e gli elementi di un universalismo condiviso sempre disposto, tuttavia, a misurarsi con la relazionalità di stili di vita (ad esempio, tradizioni che permangono nel lungo periodo o che subiscono processi critici di trasfigurazione) e di codici etici e giuridici (che possono anche essi subire processi di modificazione, che comunque non ne inficiano il valore in quel momento da tutti riconosciuto, e che derivino, anche, da mutate situazioni sociali, economiche e politiche). Si potrebbe, allora, riproponendo una via d’uscita non troppo distante dalle posizioni espresse da Habermas a proposito della riformulazione filosofica del concetto di natura umana, non escludere in via di principio l’uso di paradigmi normativi, purché essi non pretendano di far dialogare diverse forme di vita solo alla luce di decreti legislativi (e tanto meno, ovviamente, agitando il vessillo della "cultura guida"). La filosofia morale "postmetafisica" (e dunque anche un’etica interculturale) deve di volta in volta misurarsi con una riflessione critica che non abbia come sua finalità la pretesa di individuare ed elargire principi assoluti e irrevocabili, ma solo il compito di elaborare "punti di vista" morali a partire dai quali si possano definire valutazioni e giudizi su azioni che si ritiene possano costituire un bene per il maggiore numero di persone. Non si tratta più di restare passivamente coerenti con una idea di "dovere" come aprioristica legge formulata da un’astratta comunità morale, ma di muovere innanzitutto dalla prospettiva concreta di ciò che può rendere sempre più ampia la sfera delle capacità personali, sia a livello di storie di vita individuali, sia a livello di particolari forme di vita sociale e culturale.
Sarebbe un errore imperdonabile (come talvolta è avvenuto in passato e, in qualche caso, avviene tuttora) pensare all’interculturalità in termini di irenica cancellazione delle differenze e delle specificità individuali di persone e collettività e come risultato di una resa fatale ai riduzionismi tanto delle uniformità razionalistiche quanto dei fanatici fondamentalismi religiosi. Questo non significa che i contenuti dell’etica interculturale debbano rinunciare a riferimenti normativi o a principi regolativi che abbiano anche una validità universale e formale, ma solo che questi stessi principi e riferimenti non devono perdere il legame con il contesto in cui nascono e si misurano. Si partirebbe da un’ottica errata se si pensasse a relazioni interculturali del tutto avulse dai contesti e dalle strutture da cui oggettivamente muovono gli interlocutori in campo. È da tali contesti e strutture che bisogna prendere le mosse, e non da astratti paradigmi universali o da cataloghi morali dati una volta per tutte. Non è concepibile un dialogo interculturale che non tenga costantemente conto del fatto che i principi e le regole – dopo le critiche alla metafisica tradizionale elaborate dalla prospettiva storicistica, da quella ermeneutica, da quella pragmatico-trascendentale e, infine, da quella analitica – non derivano più da un astratto universalismo, ma da un processo storico di universalizzazione che guarda ai principi senza cancellare da essi il complesso delle specificità storiche e culturali che li caratterizzano.
(da G. Cacciatore, Etica interculturale e universalismo "critico", in G. Cacciatore e G. D’Anna, a cura di, Interculturalità. Tra etica e politica, Roma, Carocci, 2010, pp. 34-36)*
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