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I paesaggi in cui viviamo, giorno dopo giorno, ci mettono al mondo. Essi agiscono su di noi e dentro di noi, dando forma e sostanza ai nostri movimenti, alle nostre percezioni e alle nostre rappresentazioni, definendo le nostre azioni abituali e quelle di cui possiamo diventare capaci. Al tempo stesso, con le nostre scelte, noi esseri umani mettiamo al mondo i paesaggi in cui viviamo, mantenendo, migliorando o peggiorando, quello che c’è, e immaginando quello che ancora non c’è, ma che potrebbe esserci in futuro. Nonostante questa sua centralità nelle nostre vite, il compito di inventare un’educazione al paesaggio sembra agli inizi e la parola stessa, “paesaggio”, è tutto sommato ancora una parola nuova, da gettare come un seme fresco nel campo di intersezione tra le diverse discipline tradizionalmente affrontate a scuola. È una parola nuova non perché non sia utilizzata, ma perché sono molte le dimensioni e le sfumature di significato che perlopiù restano inesplorate. […] La transizione del concetto di paesaggio da sfondo e decoro a “spazio di vita”, la sua estensione “dall’essere visto all’essere vissuto”, lo rende un campo di straordinario interesse in termini educativi all’interno del quale è possibile connettere temi rilevanti per comprendere il passato, vivere il presente e progettare il futuro, per rilegare la partecipazione con la responsabilità delle scelte, la cittadinanza con la democrazia avendo come principale riferimento la tensione verso una buona vivibilità. Il paesaggio, quindi, si manifesta innanzitutto come “occasione” educativa per la sua capacità di fungere da catalizzatore di molti temi urgenti della contemporaneità, dalla gestione delle risorse naturali alla qualità degli spazi costruiti, dalla cura del patrimonio culturale al cambiamento climatico.
(da G. Cepollaro e L. Mori, Mettersi al mondo. Educazione al paesaggio per le nuove generazioni, Pisa, Edizioni ETS, 2018, pp. 13-14)