Video integrale
Vorrei concentrarmi sulla differenza che intercorre tra una discussione su temi filosofici e una discussione su temi di letteratura o di chimica, di storia o di botanica. Per parlare di queste cose bisogna sempre partire da un sapere condiviso, mentre ciò non si richiede per parlare di (in)giustizia e/o di contraddizioni, di padreterno o di libertà, di (s)fortuna o di infinito, del perché giochiamo o perché a volte quasi non ci riconosciamo.
Nasce da qui la speciale potenzialità (e la relativamente facile identificabilità) delle tematiche orientate verso la filosofia, che difficilmente non hanno senso per qualcuno e che, non presupponendo specifici blocchi di conoscenza, si prestano a nutrire la riflessione di chiunque, bambini compresi. Solo che, fino a ieri, ai bambini questa opportunità è stata negata nel presupposto che non ne fossero capaci. […] Come concepire, dunque, questo filosofare ‘imberbe’? Il passo decisivo è dare la parola ai minori, senza fretta di incanalarla, men che meno di dirigerla, men che meno di infilarvi degli insegnamenti in maniera surrettizia o di associare il loro pensare ad alta voce a qualche prestazione scolastica o parascolastica, men che meno di appoggiarsi a un qualche libro di testo a carattere presuntamente filosofico. Con ciò posso forse dare l’impressione di fare affermazioni inutilmente radicali, ma si ammetterà che ad essere radicale è la nozione stessa di ascolto. Infatti se l’insegnante non sospende periodicamente la sua funzione di insegnare, se non ‘dimentica’ di tanto in tanto le urgenze del programma da portare avanti o l’esigenza di valutare, non c’è vero ascolto, c’è un surrogato più o meno povero dell’ascolto.
Per il docente c’è ugualmente un compito: anzitutto aiutare i ragazzi ad acuire l’attenzione per un punto problematico e aspettare che essi ne parlino. Più che commentare, il docente domanderà ad altri di intervenire e cercherà di creare un clima di ascolto. Amerà forse segnalare che due interventi sono visibilmente contrastanti, farà notare che un certo intervento sta producendo un cambio di argomento (“stavamo parlando di A, mentre Lucia ora si è messa a parlare di B. Che facciamo, passiamo a parlare di B?”), proverà a far avanzare la riflessione con qualche “e allora?” o “ma allora?”, ma cercherà di non spingersi oltre, ben sapendo che è buon segno, se interventi così sobri si rivelano sufficienti. Si obietterà che il mondo mentale dei piccoli non può non essere segnato da fattori quanto mai contingenti: le abitudini, i valori e le forme di ‘sordità’ che vengono assorbite in famiglia, nel quartiere o nel paesino di provenienza, il clima che si respira a scuola, la personalità di un docente etc., per cui il mero ascolto finirebbe per risultare povero e, perciò, tale da produrre effetti indesiderati (es. lasciarli ‘prigionieri’ del loro mondo). Rispondo osservando che, anche se delle contingenze bisogna sapersi liberare, prima o poi, per la semplice ragione che il mondo è più vasto dei piccoli problemi di casa nostra, è pur sempre prioritario valorizzare le situazioni problematiche in cui sappiamo che i nostri alunni (magari non tutti) sono immersi. Infatti è liberante poter scoprire che una canzone o una lacrimuccia, un timore o una qualunque altra emozione, una parola singolare o due righe scritte dai bambini in altro contesto sono materia su cui non è vano avviare uno scavo importante e da lì partire. È così che la filosofia evita di proporsi sin dall’inizio come sovrastrutturale.
(da L. Rossetti, Quale filosofia con i bambini e i ragazzi?, in «Bollettino della Società Filosofica italiana», n. 205, 2012, pp. 71-72 e 75-76)*
(*) I titoli contrassegnati con l'asterisco sono disponibili, o in corso di acquisizione, per la consultazione e il prestito presso la Biblioteca della Fondazione Collegio San Carlo (lun.-ven. 9-19)