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L’epistemologia della scienza moderna ha distinto le scienze in scienze “forti” e in scienze “deboli”, in scienze “mature” e in scienze “immature”, in “scienze sperimentali” e in scienze “storiche”. Queste espressioni derivano dalla convinzione che il metodo scientifico sia per natura unico e che tutte le discipline che ambiscono a definirsi scientifiche debbano prima o poi sottoporsi ai canoni di questo metodo, debbano cioè essere ricondotte a un’attività volta a determinare leggi invarianti e a dare di queste leggi formulazioni matematiche quantitative e computabili. (…)
È in questo contesto che si delinea la «sfida della complessità», innanzitutto attraverso la seguente interrogazione: è possibile ricondurre l’idea di razionalità scientifica – se non l’idea di razionalità tout court – al modello di razionalità delineato dalla scienza del diciottesimo e del diciannovesimo secolo per studiare particolari livelli di realtà situati alla scala del mesocosmo (cioè accessibili più o meno direttamente alla scala dei cinque sensi umani)? Oppure diventa necessario riconoscere un pluralismo epistemologico e ontologico, per riaprire gli orizzonti e le direzioni di sviluppo della ricerca scientifica verso dimensioni del cosmo assai differenti?
La sfida della complessità si delinea attraverso numerose «vie», per usare l’espressione di Edgar Morin: il caso, la contingenza, la singolarità, la località, la temporalità, la rivedibilità, il disordine non sono affatto indicatori del carattere provvisorio e limitato delle nostre teorie, ma rivelano in modo quasi shakespeariano l’inesauribilità e la molteplicità delle architetture del cosmo. Tutte queste vie mettono in discussione l’idea che la visione della scienza “classica” esaurisca in sé la “visione scientifica del mondo”.
La sfida della complessità si delinea come necessità di adottare un radicale “pluralismo sistemico”. Non tutti i sistemi dell’universo sono di un unico tipo: semplici, lineari, prevedibili e descrivibili sulla base di leggi astoriche. I sistemi semplici sono importanti, ma, già a livello fisico-chimico, sono soltanto una piccola parte dell’architettura del cosmo. E determinismo e previsione non sono necessariamente indisgiungibili.
Le proprietà dei sistemi complessi non sono direttamente deducibili o spiegabili dalle proprietà delle singole parti che li compongono. Questa caratteristica è in genere definita “emergenza”. Si riferisce ai nuovi modelli di comportamento che si producono sulla base della quantità e della qualità delle relazioni o interazioni fra le componenti (parti, entità o agenti che dir si voglia). Le componenti sono spesso molte e diversificate. E perché “emergano” nuovi modelli di comportamento la densità delle relazioni fra componenti deve superare una certa soglia critica. Naturalmente è da prendere in considerazione anche la forma, la topologia di queste relazioni. Un sistema complesso è dunque un sistema reticolare, fatto di nodi (parti) e di linee che li connettono (interazioni). Di particolare interesse diventa così lo studio delle varie tipologie che possono assumere sia le parti (più o meno varie) sia le loro interconnessioni (più o meno ordinate). In genere, in un sistema complesso, non tutti i nodi sono connessi a tutti gli altri nodi in forma indiscriminata, ma esistono alcuni nodi più “strategici” e più connessi di altri.
Queste definizioni e queste proprietà aiutano a fare chiarezza sulla distinzione fra complesso e complicato: a differenza delle proprietà di un sistema complesso, le proprietà di un sistema complicato sono riconducibili con più o meno fatica alla semplice somma o combinazione additiva delle proprietà delle singole parti.
Le interazioni fra le componenti dei sistemi complessi sono spesso “non lineari”. Tali sistemi sono estremamente sensibili sia alle condizioni iniziali sia alle perturbazioni grandi e piccole che incontrano nelle varie fasi del loro sviluppo. Reagiscono alle perturbazioni in maniera non correlata alle intensità di queste: una causa microscopica e locale può innescare rapidi processi di amplificazione fino a produrre effetti macroscopici e globali e fino a trasformare radicalmente il comportamento di tutto quanto il sistema. A tale proprietà è connessa la frequente presenza di discontinuità nell’evoluzione dei sistemi complessi: essi possono cambiare, nel corso del tempo, in modi improvvisi, imprevedibili.
Dunque, e soprattutto, i sistemi complessi, indipendentemente dalla loro natura materiale, hanno una storia in senso proprio. La loro sensibilità alle perturbazioni fa sì che spesso un singolo evento intervenga bruscamente sulla traiettoria di sviluppo del sistema, attualizzando talune possibilità ed eliminandone altre. Molte proprietà esibite dai sistemi complessi non dipendono dunque da una conformità a leggi necessitanti e inflessibili, ma non sarebbero altro che “accidenti congelati” (frozen accidents), appunto acquisizioni storiche contingenti, conseguenti alla casualità di singoli eventi. In definitiva, le proprietà dei sistemi complessi sono sempre un intreccio, spesso difficile da decifrare, di leggi e di storia, di principi generali e di singolarità uniche e irripetibili. Nella letteratura è invalso definire questa caratteristica come «contingenza».
(da M. Ceruti, La fine dell’onniscienza, Roma, Studium, 2014, pp. 22-25)*
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