Di fronte alla Costituente molti italiani sembrano come meravigliarsi per un avvenimento inaspettato, per un’occasione che il loro senso storico non calcolava, quasi artificiosamente creata per sovvertire un ordine di sviluppo naturale, per introdurre l’azzardo di un’avventura fuori tempo. Mentre altri, migliori ma più provvisti di entusiasmo messianico che non di concretezza e di orientamento nella vicenda del popolo italiano, si accendono di un’ansia sproporzionata, del gusto di una volontaristica forzatura, di un’improvvisa violenza sul ritmo normale. E certo la Costituente costituisce un atto decisivo nella nostra nuova vita democratica, un atto profondamente rivoluzionario. Tanto più se di nuovo si confronta con l’indecisione e l’amore dello status quo comune esistente, che il fascismo non fece altro che rinforzare nella timida mentalità conservatrice di molti italiani che da conservare molto spesso hanno solo questo loro conformismo, questa beata voluttà di inchinarsi e venerare segni e persone […]. Ma, d’altra parte, per rivoluzionario è ormai tempo d’intendere non un’arbitraria lacerazione del tessuto storico, non una romantica rivolta di sfogo o un’illuministica decisione programmatica su di una carta bianca, ma piuttosto l’atto tempestivo e risoluto dell’operazione maieutica, l’interpretazione e la traduzione pratica di un moto giunto a maturazione: atto che implica un animus rigeneratore e può colorarsi di uno sdegno morale, ma che sempre ritrova la sua fecondità nella sua storica concretezza.
(da W. Binni, La disperata tensione, Firenze, 2011, p. 153)
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