Se osserviamo l’oggi, Tunisia ed Egitto sono paesi dove vige un asfissiante controllo poliziesco sulla società civile. Libia e Siria sono paesi dove da oltre trent’anni comandano “dinastie” di presidenti-monarchi (Gheddafi e Assad) assai poco liberali e assai poco “islamici”. Libano e Turchia evidenziano una struttura politica fragile, compromessa, per quanto riguarda il Libano, dal fazionalismo comunitario, e, per quanto riguarda la Turchia, dall’ipoteca del controllo dei militari sul funzionamento delle istituzioni. Marocco e Giordania sono monarchie a legittimazione religiosa dove le aperture democratiche in corso non possono impedire la comparsa di partiti, perfettamente legittimati, di ispirazione religiosa.
L’Europa deve tenere conto strategicamente di queste realtà. L’appoggio ai regimi autoritari e anti-democratici non può essere garantito esclusivamente in nome del timore della diffusione del militantismo islamico. La democratizzazione passa attraverso l’apertura degli spazi della società civile, ed è questa, piuttosto che i regimi più o meno amici, che deve essere oggetto delle cure e delle attenzioni dell’Europa e dei suoi governi. Il partenariato economico, che favorisca una più equa distribuzione della ricchezza accanto alla diffusione del benessere, può aiutare lo sviluppo della società civile. La diffusione della tecnologia dei mezzi di comunicazione di massa, soprattutto internet, può svincolare e liberare l’opposizione dalla censura di stato. Il riconoscimento di interlocutori credibili non solo nei magnati della finanza o del petrolio, ma anche nelle voci che chiedono il rispetto della giustizia sociale (sia pure in nome dell’Islam come i Fratelli Musulmani), è imprescindibile perché venga riconosciuta la sincerità dell’approccio politico ed economico dell’Europa ai popoli arabo-islamici del Mediterraneo.
Il problema del dialogo delle religioni nell’ambito mediterraneo, quindi del dialogo tra Cristianesimo e Islam, con l’Ebraismo a fungere da terzo, più corto, lato del triangolo, è l’altra faccia del problema dell’assai dibattuto “scontro di civiltà”. Ho la dolorosa impressione che lo scontro di civiltà sia stato attizzato dall’Occidente e non dall’Islam. La teorizzazione di Samuel P. Huntington precede di gran lunga l’11 settembre (e significativamente è stata formulata subito dopo la caduta del comunismo e dell’impero sovietico). Dopo l’11 settembre, i mass-media e le teste (più o meno) pensanti “neo-cons” o “teo-cons” hanno volentieri accreditato l’idea che Bin Laden e al-Qaida siano l’Islam, non una frangia marginale estremista che, di fatto, non ha radici né consenso nella grande maggioranza delle popolazioni mediorientali e arabe del Mediterraneo, ma proprio l’Islam tout court. I paesi arabo-musulmani del Mediterraneo hanno di certo lottato per l’indipendenza e la liberazione nazionale. Ma l’Europa ha a lungo rifiutato di riconoscere la legittima aspirazione di questi paesi all’autonomia (basti ricordare la sanguinosa guerra in Algeria dal 1954 al 1962; o l’aggressione tripartita anglo-franco-israeliana all’Egitto del 1956; o la politica dei “due pesi e due misure” nei confronti del tragico problema israelo-palestinese, con l’Occidente troppo spesso schierato univocamente a favore delle ragioni di Israele, che pure esistono e di cui è ormai necessario riconoscere l’esistenza, e pregiudizialmente portato a giudicare la resistenza palestinese come “terrorista”, laddove anche il popolo palestinese ha diritto a uno stato dalle frontiere sicure e riconosciute).
È da ricordare poi che l’islamismo cosiddetto “fondamentalista” che ha scelto la lotta armata risale agli anni Settanta del secolo scorso, non prima – sebbene i Fratelli Musulmani siano nati nel 1928 -, e che le motivazioni di questo fenomeno sono in primo luogo endogene agli stati mediorientali e non esogene: provocate dalla crisi dei sistemi politici ed ideologici “laici”, come il nasserismo, che avevano dominato negli anni Cinquanta e Sessanta e che hanno sempre represso le organizzazioni islamiche moderate; dall’approfondirsi delle sperequazioni sociali e della povertà; dalla corruzione delle élite dirigenti. La radicalizzazione dell’islamismo si inquadra per altro in un processo di più ampia e diffusa neo-islamizzazione dei paesi del Mediterraneo, che ha visto l’affermarsi, anche sul piano parlamentare e politico, di partiti religiosi legali in Marocco e in Giordania, di partiti religiosi illegali in Tunisia, Algeria ed Egitto. Il successo dell’Islam risiede nel fatto che sono quasi esclusivamente le organizzazioni religiose ad offrire assistenza educativa, sociale e sanitaria; sono sempre le organizzazioni religiose a garantire la difesa della personalità islamica delle società: ed è solo ovvio che, sentendosi, a torto o a ragione, i popoli arabo-islamici del Mediterraneo aggrediti dall’Occidente da quasi due secoli, ciò abbia talvolta coartato piuttosto che favorito le aperture alla modernità e irrigidito costumi ancestrali come la subordinazione della donna.
Riferimenti Bibliografici
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