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L’esperienza di liberazione dello spazio comunista invita a riflettere sulla complessità dei fenomeni iconoclastici e impone in particolare di misurarne frequenza e radicalità, così come di discernere tra rimozione, distruzione, vandalismo, modificazione, reinterpretazione, decadimento per negligenza e, persino, sovraiscrizione, come dimostra ancora oggi la presenza diffusa di “piedistalli vuoti”, specifica forma di oggetti sous rature – secondo l’espressione di Jacques Derrida: vecchi segni fatti sopravvivere in attesa dei nuovi, testimonianza di una scrittura che scompare pur rimanendo leggibile, né veramente presente né del tutto assente, marcatore di una memoria allusiva e, al tempo stesso, trasparente. È anche un’esperienza che impone di riflettere sulle differenze tra paesi, nel quadro di disomogenee transizioni verso la democrazia; di distinguere tra campagne coordinate a livello centrale, promosse per iniziativa di autorità locali o nate su pressioni di “folla”; di valutare con attenzione la tipologia dei manufatti (in particolare, statue o memoriali di guerra), a volte simili nello stile ma il cui destino dipende molto da visioni contestate o concorrenziali della storia e, al tempo stesso, le orienta; di determinare il peso delle specificità nazionali su iconoclastia, vandalismo o distruzione sporadica. […] Al tempo stesso, l’esperienza dell’Europa orientale ci fa comprendere che gli atti di iconoclastia sono spesso “esercizi di compromesso”, che sfociano in risultati ibridi capaci di trasformare l’oggetto contestato in un medium per significati del tutto diversi da quelli originari. Dalle “reliquie” alcuni artisti, critici e movimenti d’avanguardia hanno tratto ispirazione, creando un imponente archivio di reperti, sperimentazioni e riflessioni solo parzialmente esaminato nelle sue potenzialità documentarie. Il ripensamento performativo ha compreso sia azioni sia performances reali, sia pratiche che non rivendicano l’arte, ma vi erano molto vicine, così come forme artistiche sovversive. L’obiettivo è stato quello di favorire una nuova percezione degli “eroi” del passato, desacralizzandoli e facendo loro “parlare” la lingua del presente: i monumenti, più che essere distrutti o conservati, andrebbero dunque alterati e risignificati in modo da rendere visibile una cesura.
(da A. Salomoni, Lenin a pezzi. Distruggere e trasformare il passato, Il Mulino, Bologna 2024, pp. 197-200)*
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