Nel delineare i termini costituitivi e la storia del rapporto tra verità e felicità, Emanuele Severino ne ha posto in evidenza due momenti cardine, due “rovesciamenti”, che ne hanno caratterizzato lo sviluppo. Nel pensiero greco la felicità, per essere autentica, deve essere vera, nel senso che la verità è il mezzo per raggiungere la felicità. Ma se lo scopo della verità è la felicità, dunque qualcosa che non è la verità, allora la felicità è impossibile. Il primo rovesciamento si dà dunque con Aristotele. Theoros è infatti colui che contempla dalla posizione di chi si è posto al di sopra del pericolo (dalla medesima radice indoeuropea de – greco the, latino fe – provengono i termini theos, theoria, felix, festa, femina, ecc.): la felicità ha così come scopo la “festa filosofica”, e la società buona (felice) è il mezzo per raggiungere la contemplazione della verità. Il secondo “rovesciamento” si compie in epoca contemporanea. La filosofia contemporanea, determinando la fine delle ideologie e delle religioni (cristianesimo, islam, democrazia, socialismo, capitalismo, ecc.), diventa il campo di gioco della tecnica la quale, non esistendo ormai i limiti dettati alla sua azione dalla verità, diviene il nuovo mezzo per raggiungere la verità. Dunque, quando ciascuna forza (ideologica in senso lato) prende coscienza di non poter opporsi in alcun modo allo strumento tecnico di cui si serve, avviene il “rovesciamento”, con il quale la tecnica non è più il mezzo per realizzare una felicità ideologicamente connotata, ma diviene lo scopo. Pertanto, uscire dal dominio della tecnica sarà possibile solo grazie a un senso radicalmente nuovo della verità, in un nuovo tempo in cui gli individui dovranno occuparsi coralmente della sorte di quella verità senza la quale il loro paradiso sarà un inferno.