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Al centro della concezione islamica dell’economia è posta la finanza islamica. La crescita del fenomeno finanza islamica e, in particolare, delle banche islamiche sta facendo emergere una nuova realtà a livello mondiale: si stima che istituti bancari islamici operino in quasi cento paesi, con un volume patrimoniale complessivo di circa 300 miliardi di dollari statunitensi e un tasso di crescita stimato tra il 10 e il 15%. Com’è noto, alcuni prodotti finanziari islamici come i sukuk, i bond islamici, stanno sempre più attirando l’attenzione dei mercati internazionali. La forte presenza di comunità di cittadini musulmani in Europa ha spinto sia gli operatori islamici a studiare le possibilità di entrare nei nostri mercati, sia gli operatori convenzionali a valutare l’opportunità di aprire sportelli islamici. Significativo è l’esempio inglese in quanto si pone come un modello anche per le altre nazioni europee. In Italia, nonostante vari problemi di compatibilità tra il nostro sistema bancario e quello islamico, le affinità esistenti tra le nostre banche cooperative e popolari e le banche islamiche offrono margini agli operatori islamici per ritagliarsi spazi nel mercato finanziario.
L’attività bancaria islamica comincia, su scala ridotta, grazie ad iniziative individuali nei primi anni ’60 del secolo scorso. La successiva crescita del sistema bancario islamico negli anni ’70, in seguito al boom petrolifero, è favorita e appoggiata da alcuni stati islamici, attraverso modifiche alla propria legislazione bancaria o l’emanazione di leggi ad hoc. Oggi esistono oltre novanta banche e istituti finanziari islamici (spesso si tratta di holding) presenti in molti paesi che operano in concorrenza con le banche convenzionali; solo in Pakistan, Iran e Sudan l’intero settore bancario è stato completamente islamizzato.
La banca islamica, come qualsiasi altra banca, ha come obiettivo la mobilizzazione del risparmio a favore degli investimenti. Gli economisti islamici hanno dimostrato che esistono modalità e strumenti alternativi al tasso d’interesse (sia passivo che attivo) con cui svolgere tale funzione. Il capitale investito assume la forma di compartecipazione ai profitti e alle perdite (Profit and Loss Sharing – PLS) derivanti da attività imprenditoriali o finanziarie, tramite contratti societari. Il credito alle imprese su base partecipativa costituisce una sostanziale alternativa al mutuo ad interesse. Gli economisti islamici insistono sull’importanza socio-economica dei metodi basati sulla compartecipazione ai profitti e alle perdite, tuttavia il loro utilizzo da parte delle banche islamiche rimane ancora piuttosto limitato a causa dei rischi connessi e dei costi di gestione dei progetti. Più consistente è la quota dei metodi non partecipativi che si basano su contratti di vendita o di locazione di beni reali e servizi. In questo caso il tasso di remunerazione è fissato in anticipo e viene inglobato nel prezzo d’acquisto o nel canone di locazione.
Riferimenti Bibliografici
(*) I titoli contrassegnati con l'asterisco sono disponibili, o in corso di acquisizione, per la consultazione e il prestito presso la Biblioteca della Fondazione Collegio San Carlo (lun.-ven. 9-19)
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