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Presentazione dell’opera “Giordano Bruno: parole, concetti, immagini“, direzione scientifica di M. Ciliberto (Pisa-Firenze, Scuola Normale Superiore e Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento, 2014, 3 voll.).
In collaborazione con le Edizioni della Normale.
La complessità del rapporto di Giordano Bruno con il pensiero “moderno” discende dal fatto che egli è situato nel confine tra due epoche, come testimoniano i testi antichi e antichissimi, ma anche nuovi e modernissimi che erano presenti sul suo scrittoio: «omo universale», egli venne definito da un «libraio» che lo conosceva bene e che giocò un ruolo nel suo ritorno in Italia. Profondo conoscitore dei presocratici, di Platone, Aristotele, Plotino, fu lettore acuto dei maggiori pensatori della sua epoca – da Cusano a Ficino, a Pico; discusse a fondo le concezioni di Copernico, interpretandole in modo originale; criticò duramente Lutero, Melantone, Calvino; fu grande esperto di magia, lullismo, mnemotecnica. In breve: si mosse, con grande consapevolezza, tra la “tradizione”, che per lui si identifica anzitutto con l’ermetismo, e il futuro, l’avvenire, al quale guardò sempre con un’attenzione che sfiora l’eccitazione, anche perché si illuse di poter giocare un ruolo decisivo come “capitano di popoli”, riformatore delle scienze, delle opere, dei costumi, Mercurio inviato degli dèi per riportare tra gli uomini la luce della verità e della sapienza. […]
Non serve perciò continuare a proiettarlo nella genealogia dei “moderni” ignorando aspetti costitutivi della sua opera; o rinserrarlo in una “tradizione” – fosse pure quella, certo importante, dell’ermetismo. E non ha neppure senso consegnarlo al «mondo dei maghi» – rovesciando il giudizio di Francis A. Yates – per mostrarne limiti, arretratezze, superstizioni estranee al mondo “moderno”, cioè – in ultima analisi – al paradigma della rivoluzione scientifica. Con questi criteri, è difficile comprendere il nucleo originario della «Musa nolana». Bruno si muove in una prospettiva ontologicamente differente da quella “moderna”, come Machiavelli o Campanella; appartiene al Rinascimento. Ma questo non significa che egli sia il nostalgico rappresentante di un passato finito o di una inerte “tradizione”, o che vada situato in correnti minoritarie della “modernità”. Intuì, e sviluppò, concetti essenziali come quello di infinito; argomentò il concetto del lavoro come predicato dell’uomo e fondamento della civiltà; valorizzò il corpo come principio di differenza tra gli enti naturali; spezzò le regole della poetica aristotelica, assumendo l’infinita, e libera, creatività di ogni poeta; attraverso le immagini scoprì, teorizzò e praticò una via originalissima di accesso alla verità, facendo i conti con l’intuizione dell’infinito, senza sprofondare l’uomo nel nulla, come temeva Keplero, ma potenziandone, al massimo, attraverso l’«eroico furore», tutte le possibilità. Realizzò però tutto questo essendo come esperienza, pensiero, vocabolario, uomo di confine: sta precisamente qui la sua originalità, ciò che gli permette di sfuggire a definizioni astratte e di tipo generale.
(da M. Ciliberto, introduzione a Giordano Bruno. Parole, concetti, immagini, vol. I, Pisa, Edizioni della Normale, 2014, pp. 7, 9)*
(*) I titoli contrassegnati con l'asterisco sono disponibili, o in corso di acquisizione, per la consultazione e il prestito presso la Biblioteca della Fondazione Collegio San Carlo (lun.-ven. 9-19)
Presso la sede della Biblioteca, dopo una settimana dalla data della conferenza, è possibile ascoltarne la registrazione.