Ripercorrendo le tappe di formazione e di evoluzione dell'economia e della politica moderna, Giacomo Marramao ha diagnosticato nel mondo attuale la crisi del paradigma di mercato moderno, che si è trasformato non tanto "in una gabbia di acciaio", in un'impalcatura rigida, secondo la diagnosi weberiana, quanto in una giungla priva di regole, regno della figura del free rider, "battitore libero".
Nell'indagare gli elementi insiti in questo processo, Giacomo Marramao ha evidenziato la necessità di risalire ai caratteri dell'universalismo occidentale moderno, al fine di pensare ad un nuovo modello di universalismo in grado di proporsi nell'attualità. L'universalismo moderno, infatti, basato sul principio dell'eguaglianza, è caratterizzato da un modello di razionalità propria della figura dell'homo oeconomicus, intesa come scelta razionale e calcolante che deve essere funzionale allo scopo, che si è esplicata, fra le altre, nella teoria del contratto di Thomas Hobbes.
Ponendosi a distanza rispetto al filone neocontrattualista, che mira alla ripresa del paradigma hobbesiano secondo il quale il bene divide, mentre il male unisce, Giacomo Marramao si muove verso il superamento di questo modello, pensando a una politica che parta non tanto dal male quanto dall'elemento della sofferenza. Questa operazione deve essere accompagnata da una riproposizione in politica del tema del bene, inteso come bene comune: cioè come un ventaglio di beni pubblici che sia sottratto alla logica di mercato quali l'istruzione, il sapere, la salute, ma anche la possibilità di godere di diritti politici e civili, di associarsi liberamente e di partecipare in modo attivo alla vita della società.
Questo modello di politica deve far fronte non tanto ad un conflitto di interessi, ma di identità, che caratterizza la scena mondiale e che spinge ad un ripensamento dell'intreccio di universalismo e individualismo proprio della razionalità dell'homo oeconomicus. Sulla base del modello della civitas romana, che implicava al suo interno una pluralità di nationes e di gentes che si riconoscevano nel rispetto delle medesime leggi, si può pensare secondo Giacomo Marramao ad un "universalismo della differenza", difficile da attuare compiutamente, ma che per il momento potrà esplicarsi solo nella capacità di "scrivere con una mano la parola universalità e con l'altra mano la parola differenza".