La storia del concetto di comico in Occidente mostra una caratteristica oscillazione, perchè di volta in volta l’accento della riflessione teorica è stato posto vuoi sulla serenità e sulla trasfigurazione catartica propria del comico come fenomeno estetico, vuoi sul ridicolo come fondamento antropologico di quella trasfigurazione. Nel primo caso, si può parlare del comico come della riuscita sublimazione della vita nell’arte; nel secondo caso, invece, il comico intrecciato al ridicolo, è il segno di una non compiuta autonomia dell’arte, di una sua diretta partecipazione alla vita.
Questa distinzione tra una sfera del comico “puro” e una sfera del comico “interessato” ha trovato la sua più compiuta giustificazione teorica, essenziale anche per il rapporto fra il riso e il sacro, nella differenza individuata da Baudelaire fra il “comico assoluto” e il “comico significativo” (De l’essence du rire et généralment du comique dans les arts plastiques, 1855). Baudelaire muove qui dall’assunto generale secondo cui il riso è, innanzitutto, il segno della condizione decaduta dell’uomo. Il riso non è che il rovescio di quel dolore, che connota l’uscita dallo stato paradisiaco. Però, esso è in un certo senso perfino più terribile del dolore: esso è direttamente satanico, in quanto erede della colpa di Lucifero.
Il riso attesta l’orgoglio smisurato dell’uomo, la sua volontà di autoaffermazione. Questo riso che celebra il trionfo dell’autoaffermazione è, tuttavia, un riso impuro. Baudelaire lo definisce “significativo”, che è quanto dire contingente, storico-relativo, incapace di raggiungere l’eterno e la bellezza; esso ha, infatti, la presunzione di organizzare il mondo, di dividere l’alto dal basso, il superiore dall’inferiore. A questa comicità mondana, Baudelaire contrappone l’ideale del comico “assoluto” o grottesco, capace di realizzare una “purificazione assoluta” del riso.
Qui il soggetto, infatti, prima che del mondo, ride di sé. Solo il comico “assoluto”, che non mira con la derisione a imporre gerarchie e valori, può ristabilire la condizione dell’umiltà, portando a quella “saggezza”, capace di redimere le tracce del peccato originale.
Riferimenti Bibliografici
testi fondamentali dell’estetica del comico
- Baudelaire C., De l’essence du rire (1855), trad. it. in C.B., Scritti sull’arte, Torino, Einaudi, 1993;*
- Bergson H., Il riso (1901), Milano, Studio Editoriali, 1990;*
- Freud S., Il motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio (1905), in S.F., Opere, vol. 5, Torino, Boringhieri, 1978;*
- Paul J., Vorschule der Aesthetik (1804), Weimar, Böhlhaus Nachfolger, 1935;
- Kierkegaard S., Sul concetto di ironia in riferimento costante a Socrate (1841), Milano, Guerini & Associati, 1989;*
- Pirandello L., L’umorismo (1908), Milano, Garzanti, 1995;
- Vischer Fr. Th, Ueber das Erhabene und das Komische (1837), Frankfurt a.M., Suhrkamp, 1967 (di prossima pubblicazione presso le edizioni «Aesthetica» di Palermo).
bibliografia essenziale sull’estetica del comico
- Bachtin M., L’opera di Rabelais e la cultura popolare, Torino, Einaudi, 1982;*
- Bateson G., Il ruolo dell’umorismo nella comunicazione umana (1953), in «aut aut», 282, 1997, pp. 4-52;*
- Jankélevitch V., L’ironia (1936), Genova, 1987;*
- Jünger F.G., Ueber das Komische, Frankfurt a.M., Klostermann, 1948;
- Kern E., The Absolute Comic, New York, Columbia University Press, 1980;
- Olbrechts-Tyteka L., Il comico del discorso (1976), Milano, Feltrinelli, 1977;
- Prezzo R., Ridere la verità, Milano, Cortina, 1994;*
- Swabey M.C., Comic Laughter, New Haven e London, Yale University Press, 1961.
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