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Contemporanei di Steve Jobs e ascoltatori delle storie di Adamo ed Eva? Fruitori di messaggi veloci e pellegrini su strade con tempi biblici di percorrenza? Surfisti tra miriadi di like e impigliati nella rete di storie che non mollano la presa? Viaggiatori leggeri nel mare dell’immaginario virtuale o lottatori con parole fatte carne? L’evocazione di opposizioni tra la soggettività dell’internauta e quella del lettore biblico potrebbe continuare a lungo. La lista delle differenze, a seconda delle sensibilità, giungerebbe infine a sancire un’irriducibile opposizione tra i due mondi, oppure proverebbe a mettere in luce una polarità più sfumata, in grado di dire la complessità del confronto. Il bivio, però, rischia di risultare visibile solo ai quattro lettori che ancora frequentano quelle Scritture, che la maggior parte delle persone ha smesso di frequentare, giudicandole un libro del passato, il cui interesse è venuto meno.
Davvero le Scritture ebraico-cristiane possono essere ancora interessanti? Che senso ha fare riferimento a quell’antico canone, per quanto prestigioso sia stato ritenuto, in un mondo che non contempla più nemmeno l’idea di un canone, che ha disertato definitivamente i sensi unici delle grandi narrazioni e si riversa lungo i mille sentieri che portano ad altrettante figure di senso? Nessuno mette in discussione il fascino del web: è, di fatto, il nostro mondo. Certo, come ogni mondo, insieme al fascino presenta delle insidie; mostra paesaggi ormai familiari ed altri in cui ci si sente spiazzati. Ma anche se lamenti si alzano da quel mondo, è impossibile disertarlo. Non così per la Bibbia, ritenuta dai più scenario di altre epoche. La sua lingua straniera è parlata da una minoranza, alla stregua di un linguaggio interno, comprensibile solo ai membri della setta. Gli altri non capiscono questo idioma. Sorry, I don’t speak Bible! E anche l’insistenza sulla storia degli effetti, frutto della narrazione biblica, ovvero quei capolavori artistici e letterari, incomprensibili senza il codice biblico – come la Divina Commedia di Dante o il ciclo pittorico michelangiolesco della Sistina – non sembra sufficiente a riaccendere la curiosità per le Scritture. Le fonti e i riferimenti biblici li fornisce in pillole Wikipedia. (…)
La Bibbia parla sì di verità, ma in quanto verità esistenziale: non un’adesione ad affermazioni astratte, piuttosto un riconoscimento di ciò che rende vera l’esistenza. I racconti biblici ospitano il dilemma morale del fare la scelta giusta, a fronte del rischio di andare fuori strada. Ma la posta in gioco non si riduce a salvaguardare una presunta moralità, all’evitare a tutti i costi la trasgressione di una norma: nel mondo delle Scritture conta la vita autentica, da difendere rispetto all’insignificanza che la insidia, da tutelare nei confronti di un possibile fallimento del bersaglio (questo significa «peccato»: un fallimento esistenziale). (…)
Se anche la Bibbia può mostrare il suo carattere promettente per la vita, la sua natura di seme che rende fruttuosa e gustosa la vita, allora è possibile instaurare un confronto alla pari col web. Non un duello polemico o un duetto irenico, teso a salvaguardare il proprio buon nome (della serie “La Bibbia aveva ragione”!). Il confronto tra i due mondi funziona se si pone sul terreno esistenziale di ciò che favorisce la vita buona e la sua leggibilità. Se il racconto biblico osa misurarsi con questa storia contemporanea, che il web narra.
Sarà pure un azzardo, ma il confronto tra Bibbia e internet, per quanto solo evocativo, ha molto da dire a proposito di come abitiamo il mondo, di come navighiamo nel mare della vita.
(da L. Maggi, Bibbia e web. Navigare nella vita, Padova, Messaggero, 2022, pp. 7-16)*
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