Il non finito nell'arte e il dubbio della mente

  • venerdì 14 Marzo 2014 - 17.30
Scuola Alti Studi

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Dietro la distinzione tra riprodurre il visibile e rendere visibile c’è il problema del rapporto tra pittura e cosiddetta “realtà”. La pittura rappresenta la realtà attraverso tecniche dell’imitazione oppure interpreta la realtà, usando quest’ultima come referente per esprimere il rapporto che si instaura tra pittore e oggetto della sua pittura, tra osservatore e osservato? Naturalmente una distinzione siffatta non implica alcun giudizio sulla creatività artistica. È ovvio che questa non ha a che fare, se non indirettamente, con la consapevolezza strategica del pittore riguardo al suo ruolo e al suo compito. La distinzione riguarda le modalità dell’espressione artistica, nonché l’autoriflessione della pittura rispetto ai propri scopi. In altre parole, si può fare grande arte sia attraverso il procedimento della mimesis, sia per mezzo della rappresentazione prospettica, sia, al contrario, come in Cézanne, a partire dal rifiuto dell’imitazione e della rappresentazione.
È evidente che la distinzione tra “riprodurre il visibile” e “rendere visibile” è schematica e che nel “riprodurre il visibile” si incontra sempre il “rendere visibile”, così come il “rendere visibile” non può fare del tutto a meno della “riproduzione del visibile”. In altri termini, quel che il “rendere visibile” suggerisce è che non esiste una “riproduzione del visibile” più adeguata al “reale” di un’altra o più vicina al “vero” di un’altra. Anche nella più sofisticata tecnologia ad alta definizione capace di riprodurre il visibile, non si ottiene l’innocenza (sia pure un’innocenza tecnologica) dell’occhio, che “vede le cose così come sono”. Non solo nella rappresentazione prospettica, ma anche nella fotografia ci si trova sempre di fronte a un’interpretazione del “reale”. Ogni ritaglio del mondo implica una scelta e dei limiti. Del resto il saggio di Panofsky, influenzato dalla filosofia di Cassirer, come dichiarato fin dal titolo, La prospettiva come forma simbolica, intende collocare una tecnica della riproduzione del visibile qual è la prospettiva pittorica nel contesto della produzione umana e sociale delle forme simboliche. Dopo Panofsky, infatti, si afferma nella discussione teorica e filosofica quel che, per la verità, era sempre stato chiaro ai pittori, cioè che l’invenzione della prospettiva non esprime tanto una maggiore adeguatezza rappresentativa al “reale” e al “vero”, fino a raggiungere un grado assoluto di corrispondenza, quanto una maggiore abilità nel saper costruire scenari verosimili. Si dovrà dunque spiegare cosa si intende per verosimile. Ma prima di ciò vale la pena di riflettere sul fatto che è dovuto passare un lungo lasso di tempo prima che si prendesse coscienza che le costruzioni “realistiche” in pittura (come in letteratura) sono appunto costruzioni e non procedimenti più adeguati al “vero”. Il problema è appunto che il “realismo” di tali costruzioni non si riferisce al “vero”, bensì alle credenze condivise che, divenute pregiudizi, acquisiscono l’autorevolezza dell’assoluto, del naturale, dell’ovvio.

 

(da A.M. Iacono, L’illusione e il sostituto. Riprodurre, imitare, rappresentare, Milano, Bruno Mondadori, 2010, pp. 56-57)*

(*) I titoli contrassegnati con l'asterisco sono disponibili, o in corso di acquisizione, per la consultazione e il prestito presso la Biblioteca della Fondazione Collegio San Carlo (lun.-ven. 9-19)

Presso la sede della Biblioteca, dopo una settimana dalla data della conferenza, è possibile ascoltarne la registrazione.

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