Quell’agire particolare che è il lavoro costituisce un momento determinato del perseguimento dei beni possibili da parte della libertà umana e manifesta insieme una delle figure possibili e più cospicue di quell’inganno proteiforme che è il peccato di Adamo. Il lavoro costituisce infatti l’agire inteso a superare la distanza dei beni, che si prospettano solo come possibili, e il loro attuale conseguimento. Oppure anche si può dire: il lavoro costituisce l’agire inteso a incrementare le possibilità di bene per l’uomo. Dal momento che i beni di cui l’uomo può fruire sono “frutti della terra”, oppure fuori di metafora comportano un rapporto con il “mondo” (inteso qui come ambiente dato alla libertà, insieme naturale e sociale), la trasformazione del “mondo” può accrescere il numero di tali beni. Il lavoro è appunto tale trasformazione del “mondo”; esso è dunque un agire in cui lo spirito umano si oggettiva, si fa materia, si distende in una dimensione cosmica (spazio-temporale); il lavoro per questi suoi caratteri è insieme un patire; è insieme soggezione alle necessità materiali, rischio, precarietà, lotta, eventuale sconfitta e delusione. Per sua natura il lavoro porta inscritta in sé la possibilità radicale dell’“alienazione”: non essendo immediata fruizione, e cioè rapporto con il mondo immediatamente coincidente con l’essere-per-sé dell’uomo, ma opera obiettiva e strumentale in ordine a quella fruizione, è possibile che altri prendano possesso della mia opera, ed è insieme possibile che io realizzi l’opera stessa senza considerarla opera mia: l’uomo può lavorare estraniato dal suo lavoro. D’altra parte, il numero dei beni che il lavoro può rendere accessibili all’uomo è indeterminato; o anche − in termini solo apparentemente diversi − la lotta contro gli impedimenti o le incertezze che si oppongono al possesso sicuro dei beni possibili non ha confini predefiniti. Tale spazio di indeterminatezza consente l’illusione che l’attività laboriosa possa semplicemente annullare il male della vita dell’uomo, ossia possa procurargli salvezza: il lavoro può insinuare la tentazione: “Sarete come dèi”. I due rischi delineati − “alienazione” e “illusione” prometeica − sono più che rischi a livello della storia sociale dell’uomo: sono piuttosto eventualità tragicamente reali nella configurazione civile del rapporto uomo-natura (sistema produttivo) che è insieme rapporto uomo-uomo (sistema sociale). Questa certezza − inscritta nel giudizio escatologico emergente dalla Bibbia sull’intero arco della storia umana − dà forma all’atteggiamento del cristiano, che pure conosce nel lavoro insieme e fondamentalmente una determinazione del comandamento unico di Dio, che è l’amore per il fratello.
(da G. Angelini, Lavoro, in G. Barbaglio e S. Dianich, a cura di, Nuovo dizionario di teologia, Milano, Edizioni Paoline, 1985, pp. 723-724)*
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