Dall'età antica fino a quella moderna a governare un numero notevole di società in tutto il mondo sono stati re stranieri, estranei alle popolazioni e ai territori da essi governati. Marshall Sahlins ha presentato questa figura come un'espressione delle forme elementari della vita politica, in cui emerge come l'elemento che proviene dall'esterno sia produttore di fertilità e identità nella società che lo acquisisce.
I re stranieri si caratterizzano per la crudeltà, la violenza e la volontà di potenza, l'omicidio, l'incesto e altri delitti contro la famiglia, con cui essi contrastano nella fase iniziale di fondazione del loro potere il diritto di autoctonia delle popolazioni native, dimostrando così di essere più forti della società e gli unici in grado di ricrearla. Il re straniero esercita infatti anche una funzione protettiva, portando ordine, giustizia, sicurezza e prosperità e rivolgendo in un secondo momento la sua violenza verso l'esterno, allo scopo di ampliare il regno attraverso le conquiste.
Tutti questi elementi critici della regalità dello straniero in rapporto con le popolazioni native si trovano in nuce nell'opposizione tra gli affini, esterni e i consanguinei, interni, su cui si costruiscono tutte le relazioni che formano le società organizzate e civilizzate e di cui l'alleanza matrimoniale rappresenta l'archetipo esperenziale. Essa in particolare presentandosi come un'unione fruttuosa tra persone socialmente e sessualmente differenti, dimostra il principio per cui l'acquisizione di alterità è condizione tanto di fertilità quanto di identità.
Anche nella relazione con la potenza divina entra in gioco questa struttura di confronto fra una forza interna e una straniera, il cui potere non è necessariamente determinato dalla sua distanza dal controllo dell'uomo, ma anzi viene spesso collocato proprio al centro dell'umano, come dimostra l'esempio della cosmocrazia.
Si delinea così, secondo Sahlins, una connessione stretta e decisiva, basata su una somiglianza strutturale, fra le forme elementari della parentela, della politica e della religione, che costituirebbero in questo modo un tutt'uno, espressione di un dato al contempo ontologico e sociologico della condizione umana: la sua dipendenza da forze sui generis di vita e di morte, non create dall'uomo, né da lui governate.