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Il termine “libertà” è forse il più usato nella contemporaneità. Eppure, l’idea che se ne ha è rudimentale e contraddittoria. A prevalere è, infatti, un’idea minimalista: la mia libertà finisce dove comincia quella altrui. Libertà è, prima di tutto, assenza di costrizioni.
Storicamente, questa impostazione è stata vincente: nella sua umiltà, essa ha lavorato in profondità, erodendo le basi dei sistemi di potere chiusi che per secoli hanno angustiato l’esistenza umana.
Questa idea puramente negativa di libertà, raggiungendo progressivamente i propri obiettivi, si rivela, però, sempre più inadeguata. Di fronte alla potenza che suscita, essa rimane confusa, sia perché non elabora la questione del suo limite, sia perché non affronta il tema della sua origine. Per capire il nostro tempo, occorre partire proprio da una critica dell’immaginario della libertà che si è affermato negli ultimi decenni e dalla limitatezza della concezione antropologica che esso presuppone. Il minimalismo antropologico ha le sue conseguenze.
Affascinato dal sogno della libertà assoluta, l’Io contemporaneo si pensa come “sovrano”. Come scrive Georges Bataille, «il sovrano è colui che esiste come se la morte non esistesse. Ed è anche colui che non muore, giacché muore solo per rinascere. Non è l’individuo, che nell’identità con se stesso è cosa distinta. Non è l’uomo nel senso individuale del termine, ma un dio, è essenzialmente l’incarnazione di colui che è ma che non è […]; egli ignora sia i limiti dell’identità che quelli della morte, o piuttosto questi limiti sono gli stessi, egli è la trasgressione degli uni e degli altri. In mezzo agli altri, l’uomo sovrano non è un lavoro effettivo, ma un gioco» (L’al di là del serio e altri saggi, trad. it., Napoli, 2000, p. 205). Desideroso di vivere la vita e il suo brivido, l’Io sovrano si crede padrone di se stesso e del mondo, perfettamente capace di dar corso a quella volontà di potenza che sente scorrere nelle vene. Ciò che vuole è il dominio in quanto tale, al di là del singolo obiettivo o del singolo risultato.
In realtà, al di là delle sue fantasie e delle illusioni in cui è immerso, l’Io sovrano dà forma a una singolare combinazione che, da un lato, vede l’aumento complessivo della potenza sistemica e, dall’altro, comporta il progressivo indebolimento della soggettività individuale. In questo modo, nonostante le sue pretese, l’Io sovrano finisce per rimanere vittima di se stesso. Infatti, sul versante della significazione che passa attraverso il teukein, la sua sovranità si dispiega in modo sempre più potente mentre, sul versante del legein, la “libera” manifestazione di qualunque significato disattiva di fatto questo secondo canale della significazione.
Per un verso l’Io sovrano desidera radicalizzare la sua differenza dal contesto. La ricerca di se stesso comporta che non vi sia legame che tenga, dato che non ci si può fidare di nessuno e che ognuno ha la propria stella da seguire. Per l’altro verso, però, il capitalismo tecno-nichilista intende parlare dell’Io avendo abolito l’idea di coscienza, sia nella sua capacità di giudizio sia nella sua stabilità temporale. Il risultato è paradossale: nel filone inaugurato da Nietzsche che passa attraverso Freud e arriva a Foucault e Deleuze, c’è il ritorno a una sorta di “naturalismo antinaturale”, alla ricerca di una libertà scevra dai condizionamenti sociali (siano essi parentali, economici o culturali). Il vitalismo del corpo pulsionale – idea vaga e, alla fine, inconsistente, nella maggior parte dei casi ridotta a mero impulso sessuale – viene visto come il campo più significativo in cui si esprime la libertà. Si capisce, allora, perché la disponibilità del corpo venga considerata come la frontiera invalicabile della libertà. La consistenza dell’Io sembra infatti dipendere dalla sua fisicità, che imprime sulla coscienza gli stati mentali che sono ciò che noi, come esseri umani, viviamo. Salvo poi accorgersi che, quando si cerca di capire che cos’è questa corporeità, si scopre che essa è qualcosa che ci sfugge completamente, alla quale al massimo abbiamo il compito di aderire, togliendo di mezzo tutte le interferenze che ci vengono non solo dai contesti sociali e relazionali circostanti, ma anche dalla nostra stessa interiorità. Privato di una sostanza e separato da tutti i legami, l’Io contemporaneo è spinto a essere se stesso – senza peraltro poter mai arrivare a conoscere il pozzo senza fondo del proprio sé – e, nel contempo, a essere aperto, rinunciando programmaticamente a qualunque funzione in grado di conservare la distinzione dentro/fuori: di fronte a un mondo così spumeggiante sembra insensato non lasciarsi trasportare da questo mare in movimento in cui siamo immersi. Anche perché è solo dall’apertura al mondo che si può arrivare a scoprire se stessi.
Dunque, l’Io contemporaneo è intrappolato tra due dinamiche opposte e contraddittorie: completamente aperto, allo stesso tempo esso è rinchiuso in se stesso, dato che, in ultima istanza l’esperienza individuale non è condivisibile (tanto più in un mondo in cui la qualità relazionale si è così drammaticamente deteriorata). Un po’ come l’idea di monade di Leibniz, che non ha finestre sulla realtà, ci sentiamo perfettamente separati e perfettamente interconnessi con l’ambiente verso il quale ci “interfacciamo” (attraverso lo schermo dì un computer o mediante un codice tecnico). In questo modo lo scambio è sempre meno relazionale – in tutta la gamma e densità delle implicazioni – e sempre più informazionale e/o fusionale. Così, al mito di un ordine che si fa da sé – fino al limite di eliminare qualunque contributo umano, se non nella forma della manutenzione tecnica – corrisponde un solipsismo assoluto, dove il singolo cerca di evitare il dramma della solitudine accettando l’idea di sciogliere se stesso nel mare dei flussi e delle onde in cui gli capita di trovarsi immerso.
(da M. Magatti, Libertà immaginaria. Le illusioni del capitalismo tecno-nichilista, Milano, Feltrinelli, 2009, pp. 350-352)*
(*) I titoli contrassegnati con l'asterisco sono disponibili, o in corso di acquisizione, per la consultazione e il prestito presso la Biblioteca della Fondazione Collegio San Carlo (lun.-ven. 9-19)
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