• Arte e sacro

    Il ruolo delle pratiche artistiche nelle tradizioni religiose

La bellezza del Dao

La rivelazione del Vero nella pittura cinese di paesaggio

  • Maurizio Paolillo

    Professore di Lingue e Letterature della Cina e dell’Asia sud-orientale -Università di Napoli “L’Orientale”

  • venerdì 28 Febbraio 2025 - ore 17.30
Centro Studi Religiosi

La pittura di paesaggio cominciò a diffondersi nella stessa epoca e nella stessa area geografica che aveva visto il fiorire della tradizione del Taoismo Shangqing, in cui la corrispondenza analogica tra paesaggio interiore ed esteriore era fondamentale. Nello stesso periodo, anche il Buddhismo meridionale sottolineava il ruolo del paesaggio. La scuola della Terra Pura (Jingtu), fondata da Huiyuan (334-417), diede massima importanza alle pratiche meditative: l’iconografia costituiva al riguardo un indispensabile supporto, e oltre alle immagini sacre, anche il paesaggio fu considerato espressione della verità ultima, di quel Corpo della Legge (dharmakāya, cin. fashen) che non è rappresentabile con i mezzi tecnici di un’arte meramente umana.

Il passaggio di tale concezione dall’icona al paesaggio naturale è evidente nelle fonti dell’epoca. Il Buddhismo della Terra Pura considerava l’opera d’arte, e in particolare le immagini sacre del Buddha, come un supporto dal valore simbolico indispensabile e necessario. In un poema del 375, Huiyuan sottolineava: «Una forma iconograficamente corretta e divinamente imitata apre la via alla comprensione di ogni saggezza […]. Sebbene l’opera sia umana, essa sarà come un’arte celeste». L’abbellimento dell’opera era in quest’ambito spesso indicato nelle fonti cinesi con il termine zhuangyuan, «santificazione attraverso lo splendore»: una resa del sanscrito alamkāra, «ornamento».

L’esperienza religiosa di Huiyuan si accostò sin dall’inizio all’eremitaggio montano: la tradizione taoista del ritiro si trovava così trasferita nella concezione buddhista della vacuità del mondo. Come ha giustamente sottolineato R. Mather, l’intelletto era ora colpito soprattutto dalle qualità negative del paesaggio, come il vuoto dei vasti spazi o l’assenza di ogni suono che potesse rivelare una presenza umana. L’immagine del Paradiso Sukhāvati diventava una rivelazione a un tempo inafferrabile e presente agli occhi del devoto: esso era infatti rappresentato dall’ambiente naturale.

Fra i numerosi devoti laici appartenenti alla Società del Loto Bianco, fondata da Huiyuan nel 402, c’era Zong Bing (375-443), autore del primo trattato sulla pittura di paesaggio, il Hua shanshui xu (Introduzione alla pittura di paesaggio).

Zong Bing descrive il paesaggio come un supporto per la realizzazione spirituale: «L’uomo trascendente, custodendo il Dao, brilla sulle cose [esteriori]; il virtuoso, purificando il proprio cuore, assapora le apparenze [delle cose] […]. Quindi, l’uomo trascendente con lo spirito si modella sul Dao, e i virtuosi comprendono; il paesaggio con le forme compiace il Dao, e i benevolenti ne gioiscono […]. Dunque, se si considera ciò che risponde ai propri occhi e si accorda con il proprio cuore come principio, e si perfeziona la propria abilità secondo i generi, allora l’occhio risponderà all’unisono, e tutti i cuori saranno in accordo».

 

(da M. Paolillo, Prospettive del Vero. La Rivelazione attraverso il testo e l’immagine nella tradizione taoista e nell’arte del paesaggio in Cina, in Rivelazione e conoscenza. Prospettive sacre d’Oriente e d’Occidente, a cura di M. Rizzuto e P. Urizzi, Palermo, Officina di Studi Medievali, 2012, pp. 169-170)

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