Exaiphnes anaphanenai idalma, questo e solo questo, osserva Plotino (Enneadi, V, 8,7), si dovrebbe dire della forma, dell’idea, insomma di qualunque cosa irrompa nella realtà: che improvvisamente si è manifestata. Certo, tutto è regolato da leggi e quindi tutto sottostà a un’infinità di cause, che non si finirebbe mai di indagare e che spiegano perché gli enti siano generati e periscano, perché siano fatti in un certo modo piuttosto che in un altro, perché stabiliscano tra loro rapporti di attrazione e repulsione, ecc. Ma che qualcosa sia, che qualcosa esca dal nulla, è un fatto, nudo fatto, e anzi fatto meraviglioso e stupefacente, di fronte al quale la mente dell’uomo è come presa da vertigine. A essere sfiorato è il mistero che si nasconde nel cuore dell’essere: l’essere, la totalità delle cose che sono, e dunque il principio che ne contiene tutte le ragioni, l’Uno, non dà ragione di sé, ma semplicemente è, e in senso stretto neppure questo è vero, perché pretendere di definirlo sia pure con il più generale dei predicati è illusorio, così come è illusorio credere che esso poggi su un fondamento, su un’ultimità vincolante e necessitante. Dovremo allora concludere che il fondamento dell’essere è il fatto di non averne nessuno? Che il fondamento dell’essere propriamente non è? O, per dirla nel modo più arrischiato, che è il nulla? Ebbene, sì, rispondeva Plotino, che ben sapeva sconcertare i suoi uditori, cui un’intera tradizione impediva di pensare ciò che il maestro invece proponeva.
Lo sanno bene (benchè lo sappiano senza saperlo) gli artisti. Essi nelle loro opere rendono percepibile questo singolare arcano di cui chiunque può fare esperienza. È come se la realtà fosse colta non secondo il principio di causa ed effetto bensì a partire dall’atto che la fa essere, gratuitamente, senza perché, e dunque la restituisce al suo incanto, al suo estatico stare. Da questo punto di vista gli artisti non fanno che ripetere, anzi, mimare, quel che originariamente fa il poietes, il demiurgo. Il quale trae fuori la realtà dall’Uno come da un abisso – non dunque in base a un modello preesistente, che, se ci fosse, lo vincolerebbe, e opporrebbe l’Uno all’Uno, il mondo al logos, la forma all’idea, il che è impossibile, ma secondo libertà, quella libertà di essere che si manifesta attraverso la bellezza.
(da S.Givone, Eros/ethos, Torino 2000, pp. 107-108)
Riferimenti Bibliografici
- P. Celan, Poesie, Milano 1998.
- D. Harth, Das Gedächtnis der Kulturwissenschaften, Dresden 1998.
- L. Pareyson, Ontologia della libertà, Torino 1995.*
- Plotino, Enneadi, Milano 1992.*
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