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La testimonianza coinvolge nella città degli uomini secondo lo stile di una duplice accoglienza: dell’alterità della verità e dell’alterità dell’altro rispetto a se stessi. La testimonianza della verità rende evidente che l’accogliere/abitare è il modo fondamentale di essere dell’umano di fronte all’umano. (…) Movimento originario dell’umano, dinamismo essenziale verso l’altro, modo tipico di essere al mondo, il dimorare è un’interruzione di sé attraverso sé: l’esistere/dimorare è la capacità di sospendere se stessi di fronte all’altro, il contrario di una vita, e di una città, blindate, perché esserci come uomini in rapporto alla verità si pone nei termini di un’ospitalità radicale. Dimorare è trascendere: proprio come nel caso della testimonianza, l’ospitalità sorge nella coscienza di una trascendenza. Ospitalità verso l’altro, perciò, perché sin dall’origine siamo ospitati nella verità. L’essere al mondo dell’uomo si snoda in questa dialettica tra l’ospitare e l’essere ospitati. Dialettica che è anche un’incertezza primordiale e che spiega molto delle nostre difficoltà a vivere insieme: c’è un «infarto», uno scarto, tra la legge fondamentale dell’ospitalità, quella legge senza cui l’umano ancora umano non è, e le anguste leggi in dettaglio dell’ospitalità. In questo scarto, peraltro, bisogna pur imparare a collocarsi: per tradurre la legge fondamentale dell’ospitalità nelle leggi in dettaglio dell’accoglienza; per riportare le leggi dell’accoglienza alla loro origine nell’unica legge dell’ospitalità.
Esistere, dimorare, accogliere invitano al pensiero di una responsabilità personale e comune per la dimora dell’uomo. L’ingresso alla polis si colloca precisamente su questo lato dell’ospitalità. Ma cosa s’intende per ospitalità e per accoglienza? Il mondo contemporaneo offre lo spettacolo di un’ospitalità globalizzata che, pronta e a disposizione nelle catene alberghiere e nel fenomeno del turismo massificato rischia talora di essere anonima e disumana. L’esaltazione globale dell’ospitalità si accompagna pure con enormi rifiuti, con guerre quotidiane dell’accoglienza. Il segreto dell’ospitalità si trova nella sua reversibilità. Ospitare è un movimento che si rovescia nel ritrovarsi ospitati mentre si accoglie, così come l’essere ospitati nell’ospitare. (…) L’ospitalità è una rivoluzione permanente: un ritrovarsi accolti mentre si offre accoglienza; e le conseguenze sono perciò inevitabili. Il soggiorno dell’uomo su questa terra non è un’avventura solitaria, ma è un comune abitare lo stesso mondo e le stesse dimore. Il mondo non è di qualcuno; l’abitare è un diritto fondamentale che riguarda tutti. La difesa di un bene comune ha poco a che fare con qualche facile moralismo. Contiene invece un’esigenza imperativa: l’essere dell’uomo sulla terra implica coabitare lo stesso mondo. Di conseguenza, non vi sarà mai accoglienza fino a quando non appare il rispondere d’altri, oltre che di se stessi e della propria comunità di appartenenza.
L’abitare dell’uomo non è dunque un rinchiudersi, un recintare luoghi, un prendere possesso, un estromettere. L’esistere/dimorare dell’uomo sulla terra inaugura invece un’apertura inevitabile, essenziale, positiva al rischio dell’incontro con l’altro: di nuovo, come già per la testimonianza, anche l’abitare mette in movimento la doppia disponibilità all’alterità della verità e all’alterità dell’altro. Nessuna esistenza umana regge dentro il pensiero della controllabilità totale. Nessuna dimora. Nessuna ospitalità. Nessuna città. L’ospitalità sorge di fronte al duplice pensiero dell’alterità dell’altro e della verità. Il luogo dell’accoglienza è un volto altro, il volto dell’altro: volto stesso, e luogo stesso, di un trascendere rispetto a sé e alla propria falsa centratura.
(da F. Riva, La collana spezzata. Comunità e testimonianza, Assisi, Cittadella editrice, 2012, pp. 38-42)*
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