Filosofia e diritto religioso sono, nel Giudaismo medievale, realtà nettamente distinte tra loro, quasi in contrasto: la prima è sentita come “sapienza straniera”, erede del pensiero greco antico, giunta agli Ebrei per via del mondo arabo-islamico (e poi per via della Scolastica cristiana); il secondo, basato sulla tradizione biblica e talmudica, rappresenta uno dei pilastri della religione giudaica, sentita come “ortoprassi” (ossia come un comportamento corretto, più che come un credo). Solo pochi autori del giudaismo medievale hanno cercato di metterli in rapporto, impiegando elementi della filosofia o della scienza per spiegare e razionalizzare il diritto religioso ebraico, così da renderlo “perfetto” anche alla luce della logica e, in generale, del pensiero greco. Tra di essi si trovano autori ebrei attivi in Europa e nel Vicino Oriente tra il X e il XIV secolo: caraiti come Ya‘qub al-Qirqisani e Yefet ben ‘Ali, e rabbaniti come Abraham Ibn ‘Ezra e Gersonide; ma il più importante e noto di loro è certamente Mosè Maimonide (1138-1204). Maimonide agisce in questo senso anche nelle sue opere giuridiche (il Commento alla Mishnah, il Libro dei precetti, e soprattutto il Mishneh Torah); ma è soprattutto nei capitoli 25-49 del libro III del suo capolavoro filosofico, La Guida dei perplessi, che egli avanza in modo più coerente e originale la sua proposta di razionalizzazione filosofica della Legge religiosa ebraica – una proposta che non sarà però fatta propria dal pensiero religioso ebraico ufficiale, il quale non mancherà di polemizzare contro di essa.
Riferimenti Bibliografici
(*) I titoli contrassegnati con l'asterisco sono disponibili, o in corso di acquisizione, per la consultazione e il prestito presso la Biblioteca della Fondazione Collegio San Carlo (lun.-ven. 9-19)
Presso la sede della Biblioteca, dopo una settimana dalla data della conferenza, è possibile ascoltarne la registrazione.