L’analisi di alcuni detti di Gesù ci ha mostrato una concezione delle remissione dei peccati in cui non era prevista una funzione diretta di Gesù, né come colui che perdona i peccati, né come colui verso il quale bisogna aver fede al fine di ottenere la remissione dei peccati, né come colui la cui morte è fondamentale per la remissione dei peccati. Ciò che è caratteristico di questa concezione è l’idea che Dio non perdona i peccati se gli uomini non perdonano i loro simili. Nella concezione escatologica di Gesù ha perciò una funzione e un posto assolutamente centrale la remissione dei peccati che si verifica nell’imminenza del giudizio finale. Di questa concezione della remissione dei peccati senza espiazione, la nostra analisi ha cercato poi di evidenziare anzitutto la "immaginazione sociale" implicita. Siamo infatti convinti che nessuna concezione religiosa sia possibile senza un ideale più o meno implicito di rapporti sociali concreti. Prescindere da questa dimensione sarebbe svuotare i testi di gran parte del loro reale significato. In secondo luogo, la nostra analisi ha cercato di ricostruire i presupposti storico-culturali dell’ideale sociale implicito nella concezione gesuana della remissione dei peccati e li ha individuati nella concezione levitica del giubileo. In essa, infatti, la reintegrazione sociale avviene in connessione con il Giorno dell’espiazione, in cui Dio perdona i peccatori. Se le cose stanno così, se cioè la concezione della remissione dei peccati, fortemente connotata dall’ideale socio-religioso del giubileo levitico inteso escatologicamente, gioca davvero un ruolo centrale nella concezione gesuana del regno di Dio, allora diversi altri passi della tradizione evangelica dovrebbero poter essere letti alla luce di quell’ideale. Io credo che ciò sia possibile, anche se con un diverso grado di plausibilità caso per caso.
(da M. Pesce – A. Destro, La remissione dei peccati nell’escatologia di Gesù, in La fine dei tempi, «Annali di storia dell’esegesi» 16(1999), pp. 69-71).*
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