Video integrale
Tristissimus dies, il 19 agosto del 14 d.C.: all’età di quasi settantasei anni, Augusto si spegne a Nola, nella stessa villa di famiglia nella quale era defunto anche il padre. Il princeps spira tra i baci di Livia, moglie amatissima e compagna fidata negli oltre quarant’anni di reggenza dell’impero (nonché, secondo Dione Cassio, responsabile dell’avvelenamento dell’amato consorte). Alle sue cure e a quelle del figlio di lei, Tiberio, l’erede designato, saranno affidati nelle ore successive i preparativi del funerale. […] La regia della cerimonia, già sperimentata in occasione dei funerali del compianto Agrippa nel 12 a.C., è sapiente e orchestrata da Augusto in persona. Il cerimoniale tradizionale, scrupolosamente seguito nel caso dei funerali del genero, è mutato nei contenuti grazie alla modifica di piccoli ma significativi dettagli nell’articolazione della processione funebre, che finiscono per orientarne sensibilmente la lettura in senso trionfale più che funerario: 1. Il corteo degli antenati segue e non precede l’immagine del defunto, portata a spalla dai senatori; 2. Alla processione prendono parte non solo gli avi della famiglia (tra i quali non poteva mancare ovviamente Enea!), ma addirittura molti dei summi viri, i protagonisti della storia di Roma regia e repubblicana (presente Pompeo, assente Cesare in quanto giù divus) e delle gentes assoggettate, probabilmente distinte per etnie; 3. Arredi e vesti della salma e del letto funebre richiamano esplicitamente il trionfo, con un uso prevalente di porpora e oro. 4. Sfilano nella città ben tre immagini del princeps, che ne riproducono le fattezze secondo differenti modelli iconografici. A una statua in cera deposta sul catafalco funebre è affidato il compito di evocare il corpo reale di Augusto, in vesti trionfali, deposto all’interno della kline e celato alla vista degli astanti; una statua in oro si muove dalla curia, una terza, su carro trionfale, forse dal foro di Augusto. Non conosciamo il destino di queste immagini: è probabile che la statua in cera, esposta in bella vista sui rostra vetera al momento della laudatio di Druso, fosse poi issata sulla pira, e incendiata insieme allo stesso princeps. […] L’attenta pianificazione di Augusto aveva portato non solo a erigere nel tempo uno splendido mausoleo che con la sua mole dominava la pianura settentrionale del Campo Marzio, ma alla scelta di un’area riservata al suo rogo funebre, lasciata pertanto sgombra da edifici. Il complesso, tanto spazioso da poter ospitare al suo interno piante di pioppo nero, era recintato da un peribolo in marmo bianco, a sua volta racchiuso entro una balaustrata in ferro: il termine con cui è designato da Strabone, kaustra, si riferisce proprio al processo di combustione che doveva avvenire al suo interno. La morte di Augusto e il suo funerale posero per la prima volta la necessità di riflettere sulle forme della divinizzazione post mortem del princeps.
(da A. Lo Monaco, Morte e apoteosi. Augusto ascende all’Olimpo, in Augusto, Milano, Electa, 2013, pp. 310-317)