Tutte le religioni, da quelle primitive e più elementari a quelle più complesse e strutturate, istituiscono un legame profondo tra il divino e il cibo umano (meglio sarebbe dire “i cibi” umani), tra la divinità e le fonti di sussistenza dalle quali dipendono i gruppi umani.
Questo legame tra il divino e il cibo – per cui si può legittimamente parlare di “sacralità del cibo” – risulta ampiamente provato da uno studio comparato delle varie religioni, da quelle cosiddette “primitive” a quelle dell’America pre-colombiana, della Cina, dell’India, del Giappone, dell’Egitto, della Mesopotamia, della Grecia e dei Romani, ed è riconosciuto dagli studiosi come un dato incontestabile. Ma è soprattutto la tradizione ebraica ad esplicitare e tematizzare come nessun’altra questo legame, collocato al centro stesso dell’evento rivelatore il cui fine è l’ingresso in una terra “dove scorre latte e miele”, dove cioè per tutti ci sia cibo in abbondanza. Lo stesso si constata nella tradizione cristiana che del “pane” e del “vino” ha fatto e fa i simboli fondanti della propria fede, collegando Gesù il memoriale della sua morte e della sua risurrezione al “pane” e “vino” della cena ebraica.
La relazione avrà due parti: la prima consacrata al rapporto tra il divino e il cibo nella tradizione ebraica, intendendo per tradizione ebraica la sua ritualità; la seconda al rapporto tra il divino e il cibo nella ritualità cristiana, intendendo per ritualità cristiana il memoriale dell’Eucarestia.
Per quanto riguarda la tradizione ebraica, il rapporto sarà indagato attraverso l’analisi della categoria della berakah o benedizione che consiste nel mediare qualsiasi rapporto con il cibo (come pure con ogni altra realtà del mondo con cui ci si relaziona con i propri sensi, siano essi quelli della vista, dell’udito, dell’olfatto, del tatto e dell’odorato) con una preghiera con cui si riconosce che il cibo che colma il bisogno umano è dono di Dio che ne è il bene-factor, il bene-fattore.
Per quanto riguarda la tradizione cristiana il legame tra cibo e sacro sarà indagato attraverso il riferimento al racconto dell’istituzione eucaristica, in cui Gesù fa del “pane” e del “vino” il memoriale della sua morte e della sua risurrezione, attraverso il riferimento al discorso giovanneo in cui Gesù viene presentato come “pane vivo disceso dal cielo” (Gv 6) e attraverso il riferimento alla moltiplicazione dei pani, uno dei racconti più densi e paradigmatici del Nuovo Testamento riportato nei testi evangelici per ben 6 volte (Mt 14, 13-21; 15, 32-33; Mc 6, 31-44; 8, 1-9; Lc 9, 10-17; Gv 6, 1-15).
La tesi di fondo che verrà sviluppata è che, per la tradizione ebraico-cristiana, tra il cibo e il sacro esiste un legame profondo e che questo consiste nel trasfigurare o transustanziare il “pane” da dato naturale ad evento di gratuità da parte dell’alterità divina e che questa trasfigurazione o transustanziazione istituisce il principio giustizia o responsabilità sul quale si regge il mondo e il principio perdono che lo ricostituisce.
Il cibo, per la Bibbia, non è sacro ma è in rapporto con il sacro: dove rapporto dice contemporaneamente da un lato la sua desacralizzazione, per cui esso, non più divino né epifania del divino, può essere fruito dall’uomo gioiosamente e liberamente; dall’altro, che esso non è pura datità di cui l’uomo può disporre a piacimento, secondo la sua progettualità e volontà di potenza. Né sacro né profano, il “pane”, simbolo di tutti i beni della terra, è il luogo dove si incarna e prende corpo la sollecitudine di Dio per l’umanità e dove risuona il suo appello all’uomo per la giustizia e la solidarietà. Più che con la categoria del “sacro” e del “profano”, il cibo è letto dalla Bibbia con la categoria della “benedizione”: oggettivazione e concrezione della benevolenza divina che permane tale solo se riconosciuta nel movimento di ritorno della benedizione umana. Dio per la Bibbia bene-dice l’uomo creando i beni (benedizione discendente), mentre l’uomo benedice Dio riconoscendo i suoi beni come dono e come compito (benedizione ascendente). Là dove manca la benedizione umana, i beni di Dio da benedizione si pervertono in maledizione, da lehem (pane) in lahem (violenza) secondo la sconvolgente e attuale pagina di Deuteronomio 28.
Non mettere Dio al posto del pane, come troppo ingenuamente si potrebbe pensare interpretando alla lettera alcuni testi religiosi arcaici; e neppure mettere il pane al posto di Dio, come fa la modernità cancellando dal mondano l’alterità divina; ma mangiare il pane dinanzi a Dio: questa la formula efficace con cui articolare, per la Bibbia, il giusto rapporto tra il cibo e il divino. Mangiare il pane alla presenza di Dio: che vuol dire assumerlo nella riconoscenza e condividerlo gratuitamente nella responsabilità, secondo il principio del vangelo: “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (Mt 10, 8).