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Il dibattito culturale europeo e americano è stato attraversato da un processo di revisione della concezione tradizionale della razionalità scientifica e filosofica che si è riflesso nelle forme e nei vocabolari decisivi dei differenti saperi e che ha finito per mettere in discussione le ortodossie dominanti, gli stili di pensiero centrati sulle certezze di fondamenti sottratti alle intemperie del tempo, dello spazio, della storia, alle contingenze del caso. Questa parola, il caso, che ha cessato di essere un termine per designare l’impressione vaga e fumosa di disordine e confusione ed è diventato un tema scientifico, è divenuto tanto un argomento strutturato nelle recenti dottrine fisiche della termodinamica, del caos deterministico e della complessità, della biologia e della neurofisiologia quanto nella letteratura e nella poesia, e perfino dove meno ce lo si poteva aspettare, ossia nelle dottrine antropologiche e sociologiche delle organizzazioni, delle comunità pratiche, delle aziende, del management. Se dovessi caratterizzare in poche parole questa svolta la definirei come quel mutamento del processo intellettuale e anche più vagamente psicologico, esistenziale e personale che non cerca più significato, verità e legittimazione nel riferimento a realtà, a fatti certi e univoci, aventi il valore e lo stato di una presenza diretta e tangibile, polo di riferimento di tutti quanti gli sforzi diretti alla conquista di verità definitive attraverso definizioni di regole, di nessi di causalità deterministica, così come di un metodo supposto unico per dirigere le procedure del sapere […]. A partire da questo distacco e da questa disillusione, hanno fatto irruzione nella cultura contemporanea il discorso, la sua diffusività, la pratica del linguaggio, che non hanno preso il posto delle cose, che non hanno sostituito le cose, ma che piuttosto hanno cominciato a parlare delle cose, delle realtà e dei fatti attraverso il filtro che essi stessi costituiscono. Dalle scienze naturali alla poesia e alla letteratura il linguaggio è diventato da allora un linguaggio che compie un esercizio critico su di sé.
(da A.G. Gargani, Il filtro creativo, Roma-Bari, Laterza, 1999, pp. VII-VIII)*.
Riferimenti Bibliografici
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