Quando sia iniziata l’epoca moderna esattamente non si sa. Nel 1492, con la scoperta delle Americhe, magari, o nel 1517 con la crisi luterana che spacca in due il mondo della cristianità occidentale; o forse ancora nel 1543, quando Niccolò Copernico afferma che è la Terra a girare intorno al Sole e non il contrario? Difficile rispondere. Di certo sappiamo quando è iniziata l’epoca postmoderna: in un giorno ventoso del 1336, con una passeggiata. E pazienza se è cominciata prima ancora della modernità. Nel mondo del postmoderno non ci sono fatti, ma interpretazioni. Una battuta? In parte, ma la sostanza non cambia. In effetti tutto è iniziato qualche anno dopo, diciamo intorno al 1353, e la passeggiata forse non c’è neppure stata. Non fatti, appunto: interpretazioni.
Il grande progetto della modernità è quello del confronto tra il soggetto e la realtà; una realtà oggettivamente intesa, che il soggetto riesce finalmente a misurare e controllare, forte delle sue conoscenze. Un’illusione, avrebbero poi sostenuto Nietzsche e tanti altri pensatori insieme a lui: la realtà che ci circonda è molteplice, enigmatica, oscura; una foresta di segni che rinviano ad altri segni ed entro cui il soggetto ormai frantumato si muove come in un labirinto. Solo il gioco di riferimenti e citazioni può allora ridare senso a una realtà che altrimenti rischia di dissolversi. «Con questi frammenti ho puntellato le mie rovine», scriveva Thomas Stearns Eliot nel 1922. È una buona descrizione di quello che aveva fatto Francesco Petrarca sei secoli prima, in occasione della passeggiata sul Monte Ventoso, in Provenza. […]
In apparenza è tutto molto semplice. C’era una montagna, bella, alta, famosa, e Petrarca aveva provato a scalarla, in compagnia del fratello Gherardo. Appena ridisceso, aveva scritto una lettera «in fretta e di getto» al frate agostiniano Dionigi da Borgo San Sepolcro, raccontandogli tutti i dettagli della sua avventura. La conclusione, però, è sospetta: che Petrarca dopo due giorni di scalata, ancora sporco e stanco, potesse vergare una lettera così forbita è da escludere. E infatti, alcuni dettagli suggeriscono che fu composta molto più tardi, una quindicina d’anni dopo. I dubbi ormai invadono tutto. Petrarca questa montagna l’ha scalata o si è inventato tutto? Perché il suo racconto è un po’ troppo fantasioso. La domanda più urgente è però un’altra. Ammettiamo pure che sia salito: ma è arrivato in vetta o no? Che cos’è successo davvero su quella cima? […]
La costruzione del racconto è perfetta: Petrarca è lì, fiero (in vetta? vicino alla vetta?); guarda il mondo dall’alto, sopra le nuvole, come un novello Zeus. Apre le Confessioni di Sant’Agostino e quello che legge lo gela: «E gli uomini se ne vanno ad ammirare gli alti monti, e trascurano se stessi». Ma chi sei tu? Chi ti credi di essere che non sai nulla e non sei nulla? È una domanda rivolta a se stesso e ancora di più a Dante, che dal Purgatorio aveva addirittura preteso di volare in Paradiso. Petrarca invece inizia a scendere: silenzioso, racconta, meditando sulla debolezza della sua anima e di quella degli uomini. Trionfante.
È il trionfo dell’umiltà, ma è anche una situazione che rischia di andare fuori controllo. Come in un racconto postmoderno, la realtà si è ormai scomposta in un gioco di citazioni, e tutto si fa più sfuggente. Dio improvvisamente si fa più lontano, sparisce dalla vista. Dov’è? Il viaggio rischia di non giungere mai a destinazione. E se Dio non ci fosse, e la nostra vita fosse un errare senza destinazione? E se fossimo tutti come l’Ulisse dantesco, persi in un labirinto indecifrabile? «Non è il nostro un eterno precipitare? E all’indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla?». Così scriveva un altro filosofo scalatore, lui pure campione del postmoderno: il solito Nietzsche, in Engadina, asceso «a seimila piedi sopra il livello del mare, e ancora più in alto su tutte le cose umane».
(da M. Bonazzi, Petrarca in montagna. Filosofo postmoderno, «La Lettura. Corriere della Sera», 3 marzo 2019)