L’originalità di Leonardo stava nell’aver intuito l’inadeguatezza della meccanica tradizionale di matrice aristotelico-archimedea, che poteva spiegare sul piano teorico il funzionamento delle macchine, ma si rivelava inutilizzabile ai fini ingegneristici, perché non teneva conto della loro materialità. … Concepire e costruire macchine non è soltanto un’attività ingegneristica e imprenditoriale, ma è in primo luogo un processo di ricerca sui fenomeni naturali. La macchina è sì, da un lato, un sistema operativo che funziona attraverso la manipolazione delle forze di natura per produrre un qualche effetto fisico, come il compimento di un lavoro o la costruzione di oggetti, ma è anche il tentativo di comprendere, imitare e controllare i fenomeni naturali. La ricerca e l’attività ingegneristica di Leonardo hanno, dunque, questa duplice valenza: utilitaristica ed epistemologica. Pur dovendo immaginare un quadro culturale nel quale un dibattito su questi temi fosse già in corso, i manoscritti leonardiani costituiscono il primo nucleo consistente di documenti nei quali un autore di formazione tecnica sviluppa riflessioni sul valore conoscitivo delle arti meccaniche. Leonardo non riuscì a dare una forma definitiva al proprio trattato di meccanica, ma dell’alto grado di autonomia intellettuale che aveva raggiunto il Codice di Madrid I rimane comunque testimonianza significativa ed esemplare, un tentativo di revisione della fisica medievale, espressione di un contesto sociale che era in fervente mutazione e che vedeva nelle botteghe artigiane, nel rinnovato spesso intellettuale degli artisti e degli ingegneri una dimensione culturale entro la quale affrontare i problemi ingegneristici e studiare i fenomeni naturali in una nuova prospettiva metodologica integrata.
(da A. Bernardoni, Leonardo ingegnere, Roma, Carocci, 2020, pp. 7-8)*
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