Perché la ‘modernizzazione’ ha avuto luogo in Occidente piuttosto che in Oriente? A partire dal diciottesimo secolo il pensiero sociale dell’Occidente ha sempre cercato risposte coerenti a questo problema, come dimostrano le teorie di Marx e Max Weber. Per il primo è stata proprio l’unicità dell’Asia a tagliare fuori questo continente dalla linea generale di sviluppo che ha portato alla società moderna. Per il secondo, l’Oriente è stato un vivaio poco ricettivo a causa di diversi fattori fondamentali quali la casta, il clan e l’etica economica.
Il pensiero sociologico, storico e, in buona parte, anche quello antropologico, nonché la quasi totalità dell’opinione comune in Europa, considerano l’Occidente quale modello del processo di sviluppo sociale che sfocia nel capitalismo industriale e, più in generale, nella modernizzazione. I dibattiti antropologici si sono sempre concentrati sul tentativo di considerare la società indiana e cinese come realtà che seguono un percorso del tutto diverso rispetto all’Occidente, un percorso che non poteva né può portare alla modernizzazione, al capitalismo e all’industrializzazione data la persistenza di determinate caratteristiche culturali che le rendono simili piuttosto ai popoli primitivi. Gli storici hanno privilegiato l’Occidente in modo anche maggiore considerando, per esempio, l’individualismo come fattore cruciale per lo sviluppo del mondo moderno e leggendo lo sviluppo sempre come passaggio da collettivo a individuale (nella proprietà terriera come nella famiglia).
L’altra grande categoria di studiosi coinvolta nel dibattito è quella dei sociologi, compresi Marx e Max Weber. Marx elaborò la sua teoria dello sviluppo in base alla storia dell’Europa occidentale, evidenziando il passaggio dalla forma sociale germanica (o ‘primitiva’), a quella antica, feudale e infine capitalista. Weber, pur accettando questa successione, cercava in Oriente altri fattori più specifici, spesso non economici (caste, parentela), che potevano aver bloccato il processo di sviluppo in altre parti del mondo nonché quelli che invece potevano averlo favorito nell’Europa settentrionale (etica religiosa). Nonostante queste idee siano state criticate da alcune parti, ancora oggi, nella stragrande maggioranza dei casi, dominano gli orientamenti degli studiosi di scienze sociali in Occidente.
I termini in cui si è svolto finora il dibattito vanno considerati con il beneficio del dubbio. Cercherò di spiegarmi meglio. Non voglio negare che, a partire dal 1780 e forse anche prima, l’Europa nord-occidentale abbia superato il resto del mondo per alcuni aspetti legati all’attività economica. Eppure, ricercando le cause di questi sviluppi, i sociologi e altri studiosi tendevano a identificare variabili culturali radicate e permanenti dimenticando che, invece, dovevano spiegare una situazione temporanea. Non solo l’Europa meridionale ha superato il nord in un periodo antecedente, ma è mia opinione che prima del Rinascimento la Cina fosse per molti versi più avanzata dell’Occidente. Le spiegazioni culturali a lungo termine tendono a primitivizzare l’Oriente rendendo le sue caratteristiche permanenti nel tempo, come se fosse sempre stato più dispotico per natura (= cultura) o caratterizzato da forme elementari di parentela. La ricerca specialistica è stata fuorviata proprio da questa e da altre ragioni.
Tra gli altri concetti fuorvianti ricordiamo, a titolo esemplificativo, quello di ‘razionalità’, della contabilità a partita doppia che le sarebbe connessa e soprattutto quelli di individuo e individualismo, considerati cruciali per la nascita del capitalismo e per l’espansione dell’Occidente in tutto il mondo.
La mia argomentazione è che creando un radicale contrasto tra l’Oriente collettivo o l’Occidente individualizzato ci siamo preclusi la possibilità di capire il funzionamento non solo delle società orientali, ma anche della nostra, nel passato come nel presente. Nel passato abbiamo avuto la tendenza a trascurare il ruolo possibile ed effettivo giocato dai legami parentali nello sviluppo della produzione e degli scambi mercantili e industriali. Nel presente ci siamo diretti verso sistemi assistenziali che privilegiano il rapporto diretto tra individuo e stato, propendendo per l’atomizzazione della vita sociale. Ma il ruolo dello stato in tali questioni tende oggi ad essere drasticamente ridotto. E quando viene meno l’assistenza dello stato, perché molti si oppongono a una tassazione elevata, la responsabilità per il mantenimento degli anziani, dei giovani e dei disoccupati, ricade inevitabilmente sulla famiglia, che attualmente viene incoraggiata, in Gran Bretagna ad esempio, a colmare il vuoto assumendosi ruoli che in passato erano per lei del tutto normali. In questo caso vi è una contraddizione completa con l’insistenza sull’individualismo. In queste condizioni è probabile che abbiano i risultati migliori proprio quelle società dell’Europa meridionale che erano considerate inappropriate a sostenere la Rivoluzione Industriale a causa dei loro legami familiari più ampi. Il cosiddetto familismo in Italia, così disapprovato, è probabile si dimostri un bene piuttosto che uno svantaggio.
Riferimenti Bibliografici
Opere di Jack Goody:
- Death, Property and the Ancestors, Stanford, 1962;
- Comparative Studies in Kinship, Stanford, 1969;
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- La famille et le ménage, in «Annales ESC», 1972, n. 4-5, 847-872; trad. it. Famiglia e aggregato domestico, in M. Barbagli (a cura di), Famiglia e mutamento sociale, 1977;*
- Production and Reproduction. A Comparative Study of the Domestic Domein, Cambridge, 1976; trad.it, Produzione e riproduzione. Studio comparato della sfera domestica, Angeli, Milano, 1979;
- The Domestication of the Savage Mind, Cambridge, 1977; trad. it., L’addomesticamento del pensiero selvaggio, Angeli, Milano, 1981;*
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- The Logic of Writing and the Organisation of Society, Cambridge, 1986; trad. it. La logica della scrittura e l’organizzazione della società, Torino, Einaudi, 1988;*
- The Interface between the Written and the Oral, Cambridge, 1987; trad. it. Il suono e i segni. L’interfaccia tra oralità e scrittura, Il Saggiatore, Milano, 1989;
- The Oriental, the Ancient and the Primitive, Cambridge, 1990;
- The Culture of Flowers, Cambridge, 1993; trad. it. La cultura dei fiori. Le tradizioni, il linguaggio i significati dall’Estremo Oriente al mondo occidentale, Einaudi, Torino, 1993.*
- The East in the West, Cambridge, 1996.*
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