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Sul piano epistemologico credo non si possa non riconoscere che il discorso filosofico della modernità, a partire dall’opera dei maestri del sospetto e dalla svolta linguistica, ha posto questioni che rendono vano ogni tentativo di fondazione ultima dei diritti umani. E mi sembra che i disparati tentativi di rifondazione procedurale, attraverso l’individuazione di scambi trascendentali o di strutture quasi-trascendentali, non riescano a scalfire lo «strato di roccia» cui si giunge quando si sono esaurite le giustificazioni. Le rilevanti energie intellettuali impegnate in questi tentativi possono essere utilizzate più proficuamente nel difficilissimo compito di problematizzare le proprie assunzioni, di decostruire i contesti, di sperimentare argomentazioni aperte alla traduzione. È quello che ormai stanno facendo alcuni dei protagonisti dei tentativi di fondazione; e anche un inossidabile universalista come Habermas ha finito per ammettere che i principi universali diventano vincolanti solo nei contesti culturali, radicati nelle forme di vita, mentre nessuno può arrogarsi il monopolio dell’interpretazione. La lezione dell’antropologia ermeneutica e il suo anti-antirelativismo sono insomma un altro punto di riferimento. In una duplice direzione: da un lato, non sono reperibili universali antropologici sufficientemente thick – ricchi di contenuto – da fondare principi e norme giuridiche significative; dall’altro lato, deve essere decostruita l’immagine delle culture come entità monolitiche, mondi compatti dai confini ben definiti e pressoché invalicabili.
È ora possibile dichiarare il punto di riferimento normativo di questo discorso: la condizione degli individui che nei differenti contesti soffrono maggiormente delle disuguaglianze, delle sperequazioni di reddito, risorse, potere, dei rapporti di subordinazione, delle discriminazioni, delle offese alla dignità e all’identità. L’individuo va considerato nella sua specificità culturale e sociale e nella sua differenza di genere; nasce in un contesto culturale, si forma in un rapporto dialettico (spesso antagonistico) con esso, non di rado richiede per la sua protezione la difesa di questo contesto culturale, ma rimane comunque, nella sua singolarità, il punto di riferimento anche per la valutazione delle differenze culturali. La definizione dei suoi diritti richiede un approccio flessibile incentrato sui suoi bisogni, che esclude sia il rigido universalismo della tradizione occidentale, sia la cristallizzazione del retaggio culturale. In questo senso le politiche che violano i diritti individuali al solo scopo di conservare le comunità non sono legittime, ma d’altra parte la «protezione concreta del soggetto» non coincide con la «protezione in astratto dei diritti soggettivi». (…)
Torno a sottolineare che un processo di questo genere non richiede, ma anzi esclude, una riduzione minimalista dei diritti umani a un breve catalogo di diritti individuali, in sostanza le tradizionali libertà civili. Il minimalismo non fa che esaltare la connotazione occidentale dei diritti. Accettare la particolare importanza attribuita in molte esperienze culturali ai diritti sociali, economici e culturali e la nozione dei diritti collettivi è un passaggio preliminare, necessario per intraprendere un confronto interculturale. Ma anche i diritti civili – a cominciare da quello di proprietà – nello scenario interculturale assumono forme assai differenziate; basti pensare alle modalità di relazione con la terra dei popoli indigeni. È dunque del tutto verosimile che questo processo richieda modifiche e ampliamenti dei cataloghi tradizionali dei diritti: se davvero si ha di mira il consenso interculturale sui diritti umani, non si può imporre il pacchetto tradizionale (liberale-occidentale) di diritti, ma piuttosto occorre aprirsi alla sovrapposizione e all’intreccio di diversi cataloghi, scritti in lingue differenti e a volte difficilmente traducibili, probabilmente senza che il parziale overlapping si risolva in una assoluta convergenza. E questo richiede la disponibilità a rivedere il proprio catalogo ed eventualmente a modificarlo e arricchirlo.
(da L. Baccelli, I diritti dei popoli. Universalismo e differenze culturali, Roma-Bari, Laterza, 2009, pp. 115-116, 118-119)*
(*) I titoli contrassegnati con l'asterisco sono disponibili, o in corso di acquisizione, per la consultazione e il prestito presso la Biblioteca della Fondazione Collegio San Carlo (lun.-ven. 9-19)
Presso la sede della Biblioteca, dopo una settimana dalla data della conferenza, è possibile ascoltarne la registrazione.