Martin Lutero

Riforma e rifondazione della Chiesa

  • martedì 07 Aprile 2020 - ore 17.30
Centro Studi Religiosi

Nella fortezza della Wartburg, che sovrastava su uno sperone di roccia la foresta della Turingia, Lutero rimase nascosto quasi un anno, dal maggio del 1521 al marzo dell’anno seguente. (…) Dopo essersi trovato nel mezzo della battaglia, al centro dell’attenzione di tutta la cristianità occidentale, Lutero era quasi prigioniero, isolato e impotente. Ce l’aveva fatta, a pronunciare il suo solenne “no” al pontefice e poi di fronte alla Dieta imperiale; ma ora, dopo aver demolito le muraglie papali, doveva cominciare a edificare le proprie. Fare questo implicava, ancora una volta, mettersi alla prova: svestirsi, almeno in parte, dei panni del rivoluzionario e del liberatore, mettere a tacere il più possibile le sue insicurezze e – come avrebbe capito sempre meglio con il passare degli anni – tracciare dei confini, cominciare a ragionare in termini di inclusioni ed esclusioni. Roland Bainton riassume questo cruciale cambiamento dicendo che Lutero «da capo dell’opposizione diventava capo del governo». Certo, non fu un cambiamento che si verificò dall’oggi al domani: ci vollero ancora diversi anni perché dalla protesta di Lutero emergesse una vera e propria Chiesa. Ma il 1521 e il soggiorno alla Wartburg sono stati considerati a ragione uno spartiacque da quasi tutte le biografie più importanti del riformatore.

Nonostante i suoi sensi di colpa, Martin Lutero era tutt’altro che ozioso e fuori dalla mischia. Nei dieci mesi trascorsi «nel paese degli uccelli», come scriveva nelle sue lettere, egli portò a termine la traduzione in tedesco del Nuovo Testamento. Si trattò di un lavoro fondamentale, che ebbe importanza per il futuro di tutta la Germania, non solo di quella protestante. La traduzione di Lutero, infatti, rendeva disponibile la parola di Dio in una lingua che non era il latino dei dotti e che, soprattutto, era comprensibile per tutti i tedeschi. Oltre a ciò, il teologo sassone scrisse una grande quantità di opere di ogni genere: opuscoli polemici, prediche sui Vangeli, scritti sulla confessione, sui voti monastici, sulla riforma della liturgia, per un totale di centinaia e centinaia di pagine. A queste si aggiungono le lettere, che erano il suo unico collegamento con il mondo esterno. (…)

Lutero aveva inizialmente progettato di restare alla Wartburg almeno fino alla Pasqua del 1522 (20 aprile), ma con l’aggravarsi della situazione a Wittenberg stava cominciando a cambiare idea. Agli inizi di febbraio Federico di Sassonia, pressato dalle proteste che il duca Giorgio gli aveva indirizzato durante la Dieta di Norimberga, abolì l’ordinanza riformatrice del consiglio cittadino di Wittenberg e vietò a Carlostadio di predicare. A questo punto, Lutero fece capire all’elettore la sua intenzione di tornare in città. Federico cercò di dissuaderlo – pur senza vietarglielo in maniera formale – sia per timore di ulteriori disordini, sia per la situazione incresciosa in cui egli stesso rischiava di trovarsi. Su Lutero, infatti, gravava ancora il bando di Worms e l’elettore – che ufficialmente non sapeva nemmeno dove si trovasse quel suo suddito ribelle – avrebbe avuto serie difficoltà ad affrontare una richiesta di estradizione da parte dell’imperatore o della Dieta. Consapevole del grave rischio che correva, Lutero tornò a Wittenberg agli inizi di marzo. All’elettore aveva risposto poco prima con una lettera in cui lo esortava a non disobbedire all’imperatore – e quindi assolvendolo in anticipo nel caso fosse stato costretto ad agire contro di lui – ma al tempo stesso si diceva fiducioso nella protezione di Dio, come sempre. (…)

A Wittenberg, il centro dell’attività di Lutero divenne la predicazione. Il riformatore era convinto che la fede fosse un dono di Dio, al pari della grazia; al contrario di quest’ultima, tuttavia, essa aveva anche un aspetto che dipendeva dall’uomo. Da tale punto di vista, la fede poteva essere definita come una fiducia nella parola di Dio e passava necessariamente attraverso l’ascolto. Lutero si dedicò quindi anima e corpo al mezzo che riteneva più efficace per cristianizzare la società. Nel far questo, egli si contrapponeva anche alla radicalità dell’azione di Carlostadio e dei suoi seguaci: per Lutero, prima di introdurre riforme dall’alto e con la forza, occorreva convincere, conquistare il cuore e la mente dei cittadini di Wittenberg. Quest’atteggiamento corrispondeva anche a un certo conservatorismo di Lutero, almeno per quanto riguardava quegli aspetti che egli considerava esteriori, come il culto delle immagini, il prendere l’eucarestia con le mani e così via. Laddove i fedeli “ancora deboli nella fede” (e quindi ancora attaccati alle antiche usanze) non erano interiormente convinti, le vecchie forme di culto potevano sussistere, senza che questo venisse considerato una questione di primaria importanza. Nei suoi sermoni, viceversa, il riformatore si soffermava di preferenza su ciò che riteneva imprescindibile, come la giustificazione per sola fede, il rapporto tra fede e opere e tra legge e Vangelo.

 

(da G. Dall’Olio, Martin Lutero, Roma, Carocci, 2017², pp. 93-104)*

(*) I titoli contrassegnati con l'asterisco sono disponibili, o in corso di acquisizione, per la consultazione e il prestito presso la Biblioteca della Fondazione Collegio San Carlo (lun.-ven. 9-19)

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