In epoca omerica il matrimonio comportava uno spostamento patrimoniale in una direzione inversa a quella della dote: mentre nel sistema dotale (storicamente più tardo) il padre trasferiva dei beni al marito, nel sistema omerico era il marito a trasferire al padre della sposa dei beni, segno tangibile sia del nuovo stato della donna (socialmente tanto più alto, quanto più alti erano stati i doni di nozze), sia dall'acquisto del potere familiare su di lei da parte del marito. E in caso di adulterio questi beni andavano restituiti dal padre, al quale l'adultera contestualmente veniva rispedita.
Dai poemi, infatti, si direbbe che il marito tradito non poteva uccidere la moglie. Cosa, in verità, non facilissima a spiegare in un contesto come quello omerico. Una possibile ipotesi è che l'adultera non fosse considerata responsabile della sua azione. Elena, infatti, non è ritenuta colpevole della fuga a Troia: è stata indotta a tradire il marito da Afrodite. Neppure Clitennestra, il simbolo stesso della malvagità femminile, è responsabile delle sue azioni.
[…] Ma, forse, l'assunto della "passività" femminile (peraltro mai messo in discussione) altro non era che il paravento, che copriva un'altra ragione, di tipo molto più concreto.
Nel mondo greco (e ancora per tutta l'epoca classica) la figlia, anche dopo il matrimonio, restava in qualche modo legata alla famiglia d'origine, e sottoposta al potere del padre, che poteva interrompere il suo matrimonio, esercitando un diritto chiamato aferesi paterna. Il potere del marito sulla moglie, in altri termini, era contemperato da un perdurante potere paterno, con il quale il marito doveva fare i conti, e che forse era incompatibile – appunto – con un suo ius vitae ac necis sulla moglie.
Il che non significa, sia ben chiaro, che il marito non avesse poteri su di lei: poteri ne aveva, e molti. E molti privilegi, nel rapporto con lei. Per cominciare, il marito poteva avere, e spesso aveva, una concubina (pallakis): una compagna riconosciuta, che godeva di un certo prestigio, o quantomeno non mancava completamente di dignità sociale. Quello di concubina, insomma, non era un ruolo del tutto spregevole, come anche nel diritto classico, del resto, ove la concubina era una compagna, la cui posizione veniva presa in considerazione anche dal diritto (quanto meno a certi effetti). Nella "gerarchia" fra le donne con cui un uomo poteva avere rapporti, la concubina era infatti considerata ben diversamente da una compagna occasionale, quale era invece l'etera. E, come abbiamo già detto, la posizione di concubina portava con sé delle conseguenze giuridiche: chi aveva rapporti sessuali con la concubina altrui, infatti, se sorpreso in flagranza di reato e all'interno dell'oikos, poteva essere ucciso impunemente, esattamente come poteva essere ucciso chi veniva sorpreso, nelle stesse condizioni, con la moglie altrui. E i figli che un uomo aveva dalla concubina, pur essendo nothoi (spuri), non erano discriminati, rispetto a quelli legittimi (gnesioi) come nel successivo diritto classico. I nothoi, gli spuri, vivevano infatti spesso nella casa del padre.
[…] La condizione dei nothoi omerici era ben diversa da quella dei nothoi in epoca classica, e non solo durante la vita del padre. Alla morte di questi, essi partecipavano alla successione insieme ai figli legittimi, anche se in condizione di inferiorità.
[…] Ma torniamo ai rapporti coniugali. Nonostante la disparità di posizione, l'uomo omerico era tenuto a rispettare tra moglie e concubina una gerarchia di valore, che doveva essere da un canto ben visibile all'esterno, e dall'altro percepibile, da parte della moglie, nei rapporti coniugali. Per cominciare, solo la moglie compariva al fianco del marito, nella vita pubblica: Priamo, nonostante le sue molte concubine, riservava solo a Ecuba il ruolo di moglie.
Un marito, inoltre, non doveva trascurare la moglie per la concubina. Anche il capo del gruppo, insomma, aveva dei doveri. Il fatto che li rispettasse era assicurato da meccanismi di tipo psichico e sociale: il timore della demu phemis, il rischio della disapprovazione.
Altre sanzioni, di tipo fisico o patrimoniale, nei suoi confronti non esistevano. Mentre esistevano, ovviamente – e si aggiungevano alle sanzioni sociali e psicologiche -, a carico degli appartenenti ai gruppi sottoposti al suo comando. Prendiamo il caso della moglie adultera: oltre al ripudio (e all'obbligo imposto al padre di restituire i doni nuziali) la moglie adultera incorreva in un biasimo sociale tale da rendere la sua vita estremamente difficile.
Ammesso che il padre la riaccogliesse in casa (il che non era affatto scontato) che vita poteva mai condurre un'adultera conclamata ed esposta al pubblico biasimo? L'ipotesi di un nuovo matrimonio non era neppure da prendere in considerazione: quel che restava era l'isolamento, per non dire la reclusione a vita. O, in alternativa, il passaggio a un'altra categoria di donne. Quelle che sopravvivevano vendendosi.
(da E. Cantarella, Itaca. Eroi, donne, potere tra vendetta e diritto, Milano, Feltrinelli, 2002, pp. 118-21, 225)*
Riferimenti Bibliografici
- A.W.H. Adkins, La morale dei Greci. Da Omero ad Aristotele, Roma-Bari, Laterza, 1987;*
- E. Cantarella, Studi sull'omicidio in diritto greco e romano, Milano, Giuffrè, 1976;
- M.I. Finley, Il mondo di Odisseo, Bologna, Cappelli, 1956;
- F. Frontisi-Ducroux - J.-P. Vernant, Ulisse e lo specchio: il femminile e la rappresentazione di sé nella Grecia antica, Roma, Donzelli, 1998;*
- A.R.W. Harrison, The Law of Athens, vol. I: The Family and Property, Oxford, Clarendon Press, 1968;
- C. Patterson, The Family in Greek History, Cambridge, Mass., Harvard University Press, 1998
(*) I titoli contrassegnati con l'asterisco sono disponibili, o in corso di acquisizione, per la consultazione e il prestito presso la Biblioteca della Fondazione Collegio San Carlo (lun.-ven. 9-19)
Presso la sede della Biblioteca, dopo una settimana dalla data della conferenza, è possibile ascoltarne la registrazione.