I temi che voglio svolgere sono riassumibili in estrema sintesi nel seguente modo: se guardiamo all’economia mondiale nel suo complesso rileviamo oggi la presenza di un ‘deficit di governabilità’, che in questi anni si è approfondito. La globalizzazione è cresciuta, ma insieme alla globalizzazione è cresciuto un deficit di governance che ha certe caratteristiche e che se non colmato può porre a rischio le stesse potenzialità economiche positive della globalizzazione. Questo è un punto importante, perché ne segue una domanda ovvia: come si può fare ad eliminare e/o comunque avviare a soluzione un problema di deficit di governabilità economica a livello globale? La soluzione è tanto più difficile perché l’economia mondiale non è più dominata da un solo paese, gli Stati Uniti, ma si è ormai affermato un assetto multipolare, con Nord America, Europa e Asia che coprono grosso modo le stesse quote del prodotto mondiale. La soluzione, se mai ve ne sarà una, dovrà dunque scaturire da forme di cooperazione multipolare o multilaterale tra i grandi paesi e le grandi aree. Va qui messa in rilievo una differenza importante tra i problemi economici e quelli della sicurezza a livello globale. Se è vero che anche sul piano economico gli Stati Uniti ripropongono un disegno di governo unilaterale del mondo, che può essere letto in parallelo con quello offerto sul piano della sicurezza globale. E’ anche vero che in questo caso gli Stati Uniti non hanno né la capacità né la forza di fissare unilateralmente delle regole globali e farle rispettare. Essi dipendono ed hanno bisogno degli altri grandi paesi per garantire stabilità al sistema nel suo complesso. Siamo così in presenza di un contesto di reale interdipendenza economica. Ne segue che anche il rapporto tra Europa e Stati Uniti si pone in maniera assai diversa sul piano economico da quello che interessa i livelli della difesa e della gestione della sicurezza mondiale. Di qui difficoltà ulteriori di trovare delle risposte efficaci ai problemi esistenti della governance economica globale.
La globalizzazione è un dato di fatto oggettivo, alimentato da radicali cambiamenti tecnologici e da crescenti opportunità economiche. In quanto tale non è facilmente reversibile. Ciò che i recenti avvenimenti (attentati a New York, guerra al terrorismo ecc.) hanno decretato è la fine di una determinata fase della globalizzazione e della crescita mondiale: quella interamente centrata sull’economia americana e sulla sua prolungata espansione, oltreché sull’esaltazione dei meccanismi di autoregolazione dei mercati globali. Se ne è ora aperta un’altra, i cui contorni sono ancora in larga misura da definire, ma in cui la crescita internazionale difficilmente potrà far leva sulle sole capacità propulsive degli Stati Uniti, mentre lo sviluppo dovrà assumere caratteri assai più diffusivi del passato, anche grazie a regole del mercato e meccanismi istituzionali a livello mondiale anch’essi diversi rispetto al passato.
Decisiva nella nuova fase che si è aperta nel processo di globalizzazione sarà soprattutto la capacità o meno di soddisfare l’esigenza di governo dell’apertura e dell’integrazione internazionale, affrontando molti dei problemi e difficoltà che hanno caratterizzato nel periodo più recente gli stessi processi di globalizzazione, generando un aspro confronto non solo tra paesi ma anche con i movimenti di contestazione, multiformi ed influenti, espressi dalla società civile.
Va ricordato in effetti che nell’ultimo decennio la crescita dei legami di interdipendenza tra imprese e mercati non è stata accompagnata da un parallelo sviluppo di regole e meccanismi istituzionali a livello internazionale. Si è finito per privilegiare meccanismi di autoregolazione dei mercati sempre più aperti che hanno mostrato, tuttavia, a più riprese – come nelle frequenti crisi finanziarie internazionali – tutti i limiti oggettivi di un loro operare privo di un efficace quadro istituzionale di riferimento. E’ così emerso negli anni più recenti un crescente e preoccupante ‘deficit istituzionale’ a livello internazionale ed è venuta a mancare una capacità di governo dei processi di interdipendenza (governance internazionale). Tanto più necessaria, quest’ultima, dal momento che l’apertura dei mercati a livello globale finisce per determinare una più stretta interazione dei diversi assetti istituzionali e di regolamentazione nazionali, con impatti incrociati che esercitano rilevanti influenze sulle sovranità e sulle politiche domestiche dei diversi paesi. Di qui la possibilità di nuovi conflitti e tensioni a livello interno ed internazionale, che in assenza di meccanismi efficaci di cooperazione ed integrazione in grado di gestirli possono generare inefficienze e/o distorsioni nell’allocazione internazionale delle risorse, e, più in generale, un clima di instabilità ed incertezza che si riverbera negativamente sulla crescita globale.
Riferimenti Bibliografici
- V.A. Schmidt, Discorso politico e legittimazione del cambiamento delle politiche economiche e sociali in Europa, in “EuropaEurope”, 2000, n. 1;
- M. Telò, L’evoluzione della governance europea, in “EuropaEurope”, 2001, n. 2/3;
- V. Zamagni, Dalla rivoluzione industriale all’integrazione europea. Breve storia economica dell’Europa contemporanea, Bologna, 1999.
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