In questo anno 2012 ricorre il centenario di un evento fondamentale nella storia dell’arte contemporanea: la pubblicazione de Il cavaliere azzurro di Franz Marc e di Vasilij Kandinskij, per molti aspetti vero e proprio manifesto dell’arte astratta. L’artista è chiamato a restituire con le linee e ancor più con i colori quanto nella sua interiorità viene maturando nell’incontro con un mondo cui è unito intimamente, quasi con il carattere dell’estasi mistica. L’arte, le arti – e in primo luogo la pittura e la musica – sono espressione di una "necessità interiore". Come Arnold Schönberg scrive a Kandinskij nel 1911, "l’arte non deve essere incondizionatamente oggettiva". Ad essere vero – è sempre Schönberg che così si rivolge a Kandinskij – è semmai proprio il contrario. L’arte – e in ciò la musica, con i suoi ritmi, ha un vantaggio sulla pittura – deve dare voce all’interiorità, non cercare di riprodurre oggetti. Quella interiorità, nell’inconscio, si rivela in grado di plasmarsi in forme – in suoni, ma anche in linee e soprattutto colori – di potenza espressiva tale da raggiungere e coinvolgere al di là dei confini tracciati dalle culture e dalle tradizioni. Siamo dinanzi ad una concezione dell’arte di carattere assolutamente radicale: una concezione che impegna l’artista in un’opera che, nello stesso momento in cui questi sonda la propria interiorità, è un’opera di incessante osservazione e interpretazione della natura di cui l’uomo è sempre e comunque parte. Un’opera che, come scriverà Paul Klee, è dunque quella di una "infinita storia della natura".