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Che rapporto esiste tra il filosofo orientato alla ricerca delle idee, come oggetti della vera scienza, e la città nella quale egli vive? La morte di Socrate aveva posto ai suoi discepoli in maniera drammatica il problema del rapporto tra la filosofia e la città. Occorreva porsi ai margini di essa? Nei dialoghi Platone descrive spesso Socrate, il vero filosofo, come ridicolo ai più per la sua incapacità di destreggiarsi nelle faccende politiche […]. Il vero spazio del filosofo sembra collocarsi fuori della città. La sua attività è proiettata a realizzare quella condizione che è definita come «rendersi simili al dio», liberi di muoversi nell’indagine puramente intellettuale. Nella città ingiusta il filosofo non può farsi coinvolgere da un’attività politica, che ha come unico obiettivo la contesa per il potere. Tuttavia egli non può neppure isolare totalmente la filosofia dalla comunità entro la quale è praticata. Da questo punto di vista Socrate può anche apparire come il vero politico, l’unico capace di condurre una terapia delle anime, liberando i suoi concittadini dalle terribili malattie dell’ignoranza e dell’ingiustizia e somministrando alle loro anime l’adeguata dieta filosofica. Ma per comprendere la portata di questa attività terapeutica del filosofo, diventa decisivo il problema di trovare il modello di una città giusta. In essa evidentemente la filosofia non si porrà più ai margini, ma ritroverà la sua collocazione appropriata. Il problema di Platone diventa allora di rintracciare i tratti salienti di una città che, ben lungi dal condannare Socrate, riconosca in lui l’unica figura adatta a governarla. Questo problema è affrontato nella Repubblica.
(da G. Cambiano, Storia della filosofia antica, Roma-Bari, Laterza, 2004, pp. 73-74)
Riferimenti Bibliografici
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