Il dibattito tra Roberto Esposito e Salvatore Veca è stato il confronto tra due modi sensibilmente diversi di intendere la filosofia politica e di fondarne la riflessione. Secondo Esposito, è necessaria una profonda analisi decostruttiva per giungere al reale fondamento dei concetti in gioco – libertà, democrazia, felicità, ecc. – al fine di trarne indicazioni proficue per la definizione di una prassi e di un modello politico in grado di superare i limiti dell’età contemporanea. Tali limiti, evidenti soprattutto nei modelli politici che procedono a una definizione della comunità tale da giungere ad assimilarla a un “grande individuo”, possono essere ricondotti alla definizione dell’individuo secondo l’idea di proprietà e secondo la sua assoluta immunizzazione rispetto al confronto con l’Altro e con il mondo. Secondo Veca, invece, un approccio normativo è altrettanto legittimo, fondato in ultima ratio, sull’esperienza personale, biografica e corporea, dunque possibile di mediazione comune, anziché su concetti, i quali possono costituire materia di controversia. La possibilità, infatti, di trovare uno strumento comune che fornisca gli elementi per una prassi politica in grado di garantire a ciascuno la possibilità di perseguire il proprio modello di felicità, rappresenta il fondamento primo della costituzione di ogni futura società, anche in ragione del fatto che “condividere una metrica significa condividere molto di più”.