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Che novità ci sono oggi per immaginare un esito diverso da quello avuto negli ultimi anni, scommettendo su una nuova alleanza tra modernità e sostenibilità? La novità di cui occorre tener conto, per vincere questa scommessa, è che il rapporto tra ambiente e industria sta cambiando in profondità. Al di là delle fluttuazioni che anche in questi anni caratterizzano il prezzo del petrolio, gli incentivi pubblici e le politiche nazionali, ci sono ragioni durevoli che inducono a pensare che si stia davvero aprendo una nuova stagione. Quello che sta cambiando è il modo di concepire e di far funzionare la modernità. Che in passato era portatrice di una logica autosufficiente e rigida, quasi contrapposta a quella della natura, che pure utilizzava ai propri fini; e che oggi tende invece ad assumere forme maggiormente duttili e riflessive, capaci di interiorizzare anche il valore attribuito alla conservazione e rigenerazione dell’ambiente e dell’energia naturale consumata dallo sviluppo. L’ultima crisi che ha rimesso al centro dell’attenzione la scarsità ambientale ed energetica ha, in effetti, connotazioni diverse dalle precedenti. La novità più importante è che essa non è stata solo una crisi che riguarda le quantità di risorse energetiche e ambientali messe al servizio dello sviluppo, ma ha investito la qualità dello sviluppo stesso. Tant’è che l’interesse per gli investimenti in fonti alternative, risparmio energetico, efficienza ambientale e prodotti ecocompatibili è rimasto vivo nonostante le fluttuazioni dei prezzi e delle quantità del petrolio innescate dalla crisi del 2008-2009. La verità è che questa crisi ha mostrato la fragilità dei nostri sistemi di previsione e valutazione: ci si domanda, per uscirne, come riuscire a imboccare percorsi che siano sostenibili nel lungo periodo e che possano dunque fornire una base robusta, non effimera, per le scelte di convenienza e gli investimenti. Si tratta di un’esigenza che non deriva soltanto dalla scarsità energetica e ambientale, ma da una trasformazione più estesa e profonda che, come si è detto, riguarda il senso stesso della modernità. Il fatto che nella dinamica recessiva siano confluite tre crisi distinte (di domanda, di competitività e di sostenibilità) ha reso evidente che il problema da affrontare non consiste nel rimediare a questo o quel fattore di scarsità, ma sta nelle modalità dissipative con cui lo sviluppo moderno è andato avanti sinora. C’è poi da tenere conto di un secondo grande cambiamento. L’economia industriale di oggi è diventata economia delle reti ed economia della conoscenza: un’economia che produce valore economico promuovendo la flessibilità delle organizzazioni a rete, la creatività individuale e l’intelligenza collettiva. E addensandole intorno ad alcune idee chiave, condivise da molte persone e da molte imprese, che conferiscono valore (pagante) a certi significati e a certe esperienze. La distruzione dissipativa di beni materiali, che «impoverisce» l’ambiente e le risorse energetiche naturali, non può più essere realizzata nell’ombra, in modo invisibile. Il solo fatto di pensarla e tradurla in termini di significato la classifica come disvalore, percorso da evitare. La dissipazione, anche quando è inevitabile, non fa più parte del motore propulsivo della produzione moderna. Era forse difficilmente evitabile finché la produzione di valore avveniva attraverso trasformazioni di tipo materiale, che servivano un consumo altrettanto materiale. Ma oggi, per produrre valore, serve altro. E di più. Non solo per ridurre la dissipazione al minimo indispensabile. Ma anche per costruire significati, esperienze, qualità che compensino – in termini di valore – il disvalore prodotto dalla dissipazione tecnicamente necessaria. Anzi: le innovazioni che rendono l’uso della conoscenza più efficiente, flessibile e creativo non giocano più la carta (dissipativa) dello spreco delle risorse ambientali ed energetiche, una volta considerate abbondanti e a basso costo. Ma semmai si muovono in senso contrario: tendono ad «arruolare» l’ambiente tra le risorse da valorizzare e da tradurre in significati positivi, riconosciuti dai mercati e dunque consegnati alla condivisione e allo scambio dei diversi produttori e consumatori interessati. Da questo punto di vista, le Ict (Information and Communication Technology) – che rendono facile la comunicazione a distanza – possono essere un potente strumento dell’intelligenza collettiva, utile per elaborare idee chiave in modo condiviso, per costruire comunità epistemiche, per organizzare filiere di flessibilità e di creatività in rete. Le Ict, avvicinando soggetti che in precedenza erano lontani e si ignoravano a vicenda, costituiscono un indispensabile mezzo per trasformare relazioni anonime o conflittuali in rapporti di condivisione, in cui ciascun soggetto rappresenta se stesso in funzione degli altri, creando la premessa per un rapporto di servizio e di apprendimento collettivo del nuovo. Se i giornali dei nostri giorni sono pieni di idee sulle nuove tecnologie per l’ambiente e per l’energia è perché nel Dna della nuova modernità la dissipazione entropica non è più considerata una premessa necessaria della produzione di valore. Anzi, si può creare valore, se produttori e consumatori sviluppano significati corrispondenti, attraverso l’elaborazione di una cultura produttiva e di consumo costruita all’insegna della sostenibilità intelligente, riconosciuta dai prezzi di mercato delle idee e delle soluzioni. Prodotti e comportamenti che sono parchi nell’uso dell’ambiente e dell’energia possono essere ricchi di valore dal punto di vista dei significati e delle esperienze a cui danno accesso: anzi, la sobrietà dello stile di vita può essere una delle cifre distintive di questi significati e di queste esperienze. La doppia sostenibilità può diventare un traguardo sempre più raggiungibile, in concreto, se ci si muove nell’ambito dell’economia immateriale, dove il valore non dipende dalla quantità delle risorse consumate, ma dai significati che sono associati al consumo. Meglio se questi significati danno valore a stili di vita sobri, che sono apprezzati sul terreno della qualità prima che su quello della quantità o dei cavalli vapore. Meglio se le reti comunicative e di divisione del lavoro, o le organizzazioni lean, che associano flessibilità a mancanza di sprechi, consentono di utilizzare al meglio la base ambientale ed energetica disponibile, adattandola senza attriti alle idee e alle esigenze da portare avanti nei singoli contesti e in funzione dei singoli usi.
(da E. Rullani, Modernità sostenibile. Idee, filiere e servizi per uscire dalla crisi, Venezia, Marsilio, 2010, pp. 134-136)*
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