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Gli autori elencarono ben 33 siti urbani, corrispondenti a parti del corpo di quest’essere, senza alcun accenno alle loro fonti. Il Liu Bowen citato non è altri che Liu Ji (1311-1375), responsabile sotto Ming Hongwu della costruzione di molte strutture palaziali della capitale Nanchino. Morto molto prima delle vicende storiche che portarono allo spostamento della capitale a Pechino, Liu Ji fu presto mitizzato, diventando patrono degli astrologi e dei divinatori. Lo storico Chan Hok-lam si è dedicato più di ogni altro all’analisi di questo intrico di dati leggendari, partendo da alcuni studi dedicati alla figura storica di Liu Ji, e descrivendo poi le fonti, soprattutto orali, che lo mettono anacronisticamente in collegamento con la costituzione della capitale a Pechino, definita “Città di Nezha a otto braccia”.
Ma per le prime fonti sulle connessioni tra la pianta della città e questa misteriosa figura dobbiamo risalire al periodo mongolo, per la precisione all’edificazione di Dadu, iniziata nel 1267. Secondo una tradizione attestata già nel XIV secolo, Dadu fu costruita simbolicamente sul corpo di Nezha su progetto di Liu Taibao. Liu Taibao è Liu Bingzhong (1216-1274), consigliere cinese di Khubilay Khan. Astrologo, geomante ed architetto, è considerato autore del progetto urbanistico di Dadu, nonché responsabile dell’edificazione della capitale settentrionale Shangdu.
In uno studio del 1990, Nancy Steinhardt già riteneva che la collocazione ad ottagono di edifici cultuali a Shangdu, in corrispondenza con i punti cardinali ed intercardinali, voluta da Liu Bingzhong, fosse frutto di una confluenza della tradizione buddhista tantrica e di quella autoctona legata al Libro dei Mutamenti. (…) Chan Hok-lam ha spiegato la “scelta” di Nezha come protettore dell’urbe pechinese con la sua natura di divinità protettrice contro la siccità e le inondazioni, cioè regolatrice dell’elemento acqueo: è un aspetto in effetti questo particolarmente delicato nel corso di tutta la storia di Pechino, città soggetta a problemi di approvvigionamento idrico. Questa interpretazione non dà tuttavia conto della ricchezza simbolica di tale tradizione. La leggenda della costruzione di una città sul corpo di una divinità presenta antecedenti tibetani e indiani, più che cinesi.
L’edificazione di siti monastici in Tibet è tradizionalmente legata all’esame della divinità della Terra, la cui metà inferiore ha forma ofidica, il tronco è umano, e la sommità del capo è coronata da serpenti. Essa viene individuata attraverso una griglia composta da 360 piccoli quadrati, chiaramente correlati all’anno: il suo corpo ruota in posizioni differenti a seconda della stagione, così come differente sarà il punto considerato di miglior auspicio. In India, la “scienza dei siti” tradizionale (vastuvidya) considera una griglia similare (Vastu-puruśa mandala), in cui si trova come intrappolato un essere spesso definito di natura asurica, il Vastupuruśa, su cui vegliano i deva. In India e in Tibet tali pratiche sono però rivolte più che altro all’edificazione di siti templari, e non di un intero tracciato urbano.
Ma, indubbiamente, la natura “sacrificale” del ragazzo divino Nezha, che volontariamente si toglie la vita restituendo le proprie ossa e la propria carne ai genitori (un elemento del Fengshen yanyi presente almeno dai Song), può aver favorito il suo “smembramento” simbolico e la corrispondenza di parti del suo corpo con punti chiave dell’urbe pechinese. Un aspetto più complesso (ma, potenzialmente, forse più ricco di prospettive) è l’identità stessa di Nezha. La sua associazione con il Nord, in quanto figlio di Vaiśravana-Pishamen-Li Jing, è già significativa, se si considerano i legami simbolici che uniscono Pechino a varie ipostasi del settentrione sin da epoca arcaica.
Le fonti popolari, in cui si manifesta anche un’indubbia influenza della tradizione taoista, ci forniscono interessanti elementi. Il Sanjiao yuanliu soushen daquan, pubblicato nel 1909, è una riedizione di un testo originale Ming, a sua volta basato (secondo il curatore Ye Dehui) su un’opera Yuan andata perduta. Qui, Nezha è definito come un genio inviato sulla terra dal Grande Imperatore Augusto di Giada (Yuhuang dadi) per estirpare i demoni. Egli possiede un corpo di sei zhang, tre teste, nove occhi e otto braccia. Sputa nuvole azzurrine, calpesta una pietra pan, ha una voce possente che ha l’effetto di radunare le nubi e far piovere, smuovendo il Cielo e la Terra. Sono attributi che lo rendono figura “atmosferica”, con forti connotati assiali. Come ricorda Rolf Stein, la pietra pan è presente nella tradizione taoista come elemento, spesso posto in posizione centrale, che sbarra l’accesso a quei “mondi a parte” che sono i “Cieli-Grotte” dongtian. In un passo del Zhengao, tale pietra sta “al di sopra della finestra misteriosa del Centro”, un’allusione a un’apertura nel tetto o all’invisibile centro celeste. Va ricordato al riguardo che, nella sua associazione con la pianta di Pechino, Nezha ha i piedi tradizionalmente posti a nord.
Questi dati sembrano indicare in Nezha non solo una origine settentrionale “polare”, ma un simbolismo assiale, che lo rende “naturalmente” collegato al tema della regolamentazione dell’elemento acqueo (sterminati sono i riferimenti che legano in varie tradizioni le entità connesse con il simbolismo dell’axis mundi alla pioggia e ai corsi d’acqua), nonché “stabilizzatore” di un sito simbolicamente “centrale” come Pechino (lo stupa, elemento geomantico stabilizzatore per eccellenza, è presente non solo già nell’iconografia khotanese di Pishamen, ma anche in Taishō 1249 come attributo di Nezha; nel racconto del Fengshen yanyi, Nezha viene imprigionato dal maestro taoista in uno stupa).
Il tema dell’assialità è qui e altrove spesso presente con aspetti fortemente apotropaici, o “marziali”, che rientrano peraltro a un certo livello tra gli attributi del settentrione, regno dello yin.
(*) I titoli contrassegnati con l'asterisco sono disponibili, o in corso di acquisizione, per la consultazione e il prestito presso la Biblioteca della Fondazione Collegio San Carlo (lun.-ven. 9-19)
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