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La micropolitica comprende ogni agire che, in primo luogo, serva prevalentemente interessi particolari anziché gli obiettivi generali dell’organizzazione; e che, in secondo luogo, si svolga meno per opera di un singolo o in modo organizzato, quanto prevalentemente in modo reticolare; e che, in terzo luogo, accada per la maggior parte a livello sub-istituzionale. Viceversa deve chiamarsi macropolitica ogni azione politica che, in primo luogo e innanzitutto, si orienti agli interessi generali, oggettivi del bene comune; e che, in secondo luogo, si svolga in maniera prevalentemente organizzata; e che, in terzo luogo, sia di regola legata a istituzioni. A un primo sguardo sembra che, con la contrapposizione di bene comune e interesse particolare, si tratti anche di una questione di morale politica. Infatti noi tendiamo a considerare la macropolitica generalmente come morale, la micropolitica invece come tendenzialmente immorale. L’esperienza ci dimostra, inoltre, che la frattura tra pretesa macropolitica e realtà micropolitica viene normalmente colmata per mezzo di finzioni, mascherata con la segretezza o eliminata ricorrendo a menzogne belle e buone. Finzioni come la sovranità del popolo legittimano il dominio di partiti e associazioni; tortura e omicidio di Stato hanno luogo in maniera nascosta; la cattiva amministrazione statale è contestata dal governo solo fino al momento in cui, dopo le elezioni, diventa possibile realizzare i necessari aumenti delle tasse. E tuttavia, a guardar meglio, si può anche tentare una prospettiva più obiettiva. In primo luogo, infatti, determinati interessi particolari possono, in certi casi, aspirare a una legittimità maggiore rispetto al bene comune, cosa che si può verificare quotidianamente se pensiamo ai conflitti, al giorno d’oggi, per i diritti umani e civili. In secondo luogo possono esservi pratiche macropolitiche assolutamente legali e tuttavia criminose, come l’uccisione di massa per il lancio di una bomba atomica oppure l’eliminazione del popolo ebraico. Per fortuna, esempi come questi ultimi sono stati contrastati, almeno qualche volta, per mezzo di una micropolitica furba e coraggiosa. In questo caso la corruzione mostra d’essere l’unica possibilità per una lotta efficace contro il fanatismo. La corruzione è certo una forma di micropolitica, ma non vale il contrario, dal momento che non ogni micropolitica è corrotta. In micropolitica come in macropolitica ci sono fondamentalmente quattro possibilità: prima possibilità, che un’azione venga valutata come moralmente irreprensibile o persino come degna di lode; seconda possibilità, che essa appaia moralmente riprovevole; terza possibilità, che si tratti di uno di quei casi, dal punto di vista storico particolarmente interessanti, nei quali un’azione irreprensibile produce risultati riprovevoli; oppure, quarta possibilità, casi nei quali la corruzione produce risultati degni di lode. Il nostro problema vero e proprio giace più a fondo; esso consiste nel determinare il modo fondamentale in cui macropolitica e micropolitica s’intrecciano l’una all’altra, considerando che la prima (la macropolitica) opera nell’interesse pur sempre determinato della collettività, mentre la seconda (la micropolitica) ha sì a che fare con interessi particolari, ma pur sempre collegati in rete tra loro. L’esito empirico è perciò univoco: non esiste né concettualmente né empiricamente qualcosa come una macropolitica pura. La micropolitica è sempre presente, perché la macropolitica è svolta da uomini, ciascuno con i propri interessi particolari, collegati in rete tra loro e perciò inevitabilmente dipendenti da tutta una serie tecniche di interazione che si collocano a livello sub-istituzionale.