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Concetti come «progresso» e «realizzazione della ragione» parlano di un tempo che si direbbe inesorabilmente – forse fortunatamente – trascorso. Sembrano evocare nozioni di sé e della realtà informate da superbia demiurgica e ormai smascherate dagli orrori delle guerre mondiali e dai contraccolpi distruttivi dello sviluppo. La stessa idea di storia, specie se declinata al singolare, sembra improponibile, confutata alla radice dal disfarsi, giorno dopo giorno, di qualsiasi contesto generale di senso. Ma forse proprio da questa apparente distanza sorge l’opportunità di prestare attenzione a una linea di pensiero che ha rappresentato un momento tra i più alti dell’autocomprensione del mondo moderno. In ciò consiste, infatti, il significato di una costellazione di pensieri che la tipologia tradizionale definisce «filosofia della storia». Nel concepire il processo storico come un sistema unitario e progressivo e come il campo dell’azione collettiva di una umanità artefice della propria vicenda, la modernità compie se stessa: si dichiara e si riconosce. Non c’è luogo in cui l’autocomprensione del «nuovo tempo» moderno sia altrettanto efficace. Qui, a ben vedere, risiede anche la ragione fondamentale degli attacchi rivolti sin da subito, nel nome del rigore scientifico, contro questa idea. Il suo centro è una concezione della soggettività collettiva come protagonista della propria storia. È un’immagine fiduciosa e impaziente dell’agire collettivo, percorsa da incontrollabili tensioni dinamiche: nel tempo, poiché lo sguardo si apre su un futuro concepito come un campo aperto e come inesauribile fonte di progresso; nello spazio, perché la dimensione collettiva del soggetto si vuole dotata di un’incontrastabile potenza espansiva: ad esservi inclusa oggi è una componente della comunità civile, domani sarà la nazione nel suo intero, quindi tutta l’«umanità» come universale concreto. Non sorprende che l’idea della rivoluzione (il concetto della rivoluzione come forma del mutamento, e il ricordo della grande esplosione che appena ieri ha decretato il tramonto dell’ancien régime) corra di concerto con questa nuova immagine del mondo e della storia, e di sé nel mondo e nella storia; che il pensiero di trasformazioni costanti e radicali dell’ordine esistente accompagni come un basso continuo questo sguardo sulle cose. E non sorprendono le interdizioni e i veti, pronunciati con tono distaccato, dedotti da impeccabili premesse, come se un programma d’azione potesse essere vagliato in base ai criteri di verità di un sillogismo o di un teorema.
(da A. Burgio, Strutture e catastrofi. Kant, Hegel, Marx, Roma, Editori Riuniti, 2000, pp. 11-12)