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La distruzione dell’ambiente e della natura è una delle principali preoccupazioni degli europei. Ma ai livelli più alti delle istituzioni e della nomenclatura economica si continua ad avversare il pacchetto clima europeo, adottando l’ottica parziale dei suoi costi, senza il minimo riferimento ai benefici attesi.
Secondo la Commissione europea, il pacchetto clima contribuirebbe a creare dai 600.000 ai 900.000 nuovi posti di lavoro nell’Europa a 27, a partire dai settori legati all’energia rinnovabile e dell’efficienza energetica, che attualmente occupano 150.000 persone nell’Unione a 15, contro i 60.000 occupati nel settore del cemento e i 30.000 in quello dell’acciaio. Forse non bastano questi pochi dati per rendere conto del lato negletto del pacchetto clima. Se davvero l’industria scomparirà o se invece finirà per espandersi e rinnovarsi, dipende dalla valutazione dei costi del pacchetto clima al netto dei benefici che esso produrrà.
Esercitarsi in una valutazione quantitativa e monetaria dei benefici di un insieme di misure articolato come quello europeo è operazione non facile, e comunque assai più impegnativa della valutazione dei costi. Il primo motivo è che l’operazione architettata dalla Commissione europea non è solo un pacchetto di direttive sulle emissioni di CO2 delle industrie europee o sullo stimolo alle fonti rinnovabili di energia. È ben di più, se consideriamo come parte integrante del disegno la proposta di direttiva sulla cattura e lo stoccaggio del carbonio, la direttiva già recepita sull’efficienza degli usi finali dell’energia e i servizi energetici e soprattutto lo Strategic Energy Technology Plan, un importante documento che contiene misure relative alla pianificazione, realizzazione, risorse e cooperazione internazionale nel campo delle tecnologie energetiche. Il secondo motivo è che l’obiettivo di questa complessa manovra non è uno solo, ma molteplici. Non solo si vuole contribuire alla lotta ai cambiamenti climatici, ma anche accrescere l’indipendenza energetica, particolarmente dalle fonti fossili di importazione. Si vuole dare un impulso decisivo a un nuovo modello di sviluppo, quello dell’economia a basso tenore di carbonio, conquistando la leadership sui mercati delle nuove tecnologie energetiche, promuovendo la nascita o la diffusione di nuove industrie e settori produttivi, cambiando permanentemente le modalità di produzione e di consumo, e con esse le abitudini dei cittadini europei. Si vuole, presumibilmente, infine riconquistare un ruolo di primo piano nello scenario geopolitico dove si affacciano nuovi e rilevanti attori.