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La relazione fra religione e memoria è, metaforicamente parlando, una sorta di braciere acceso, appoggiato su un treppiedi. Essa brucia energie sociali perché riesce a connettere la triade Parola-Popolo-Terra. Un potente dispositivo della memoria collettiva che si ripresenta puntualmente ogni qualvolta una società, come ci ha insegnato Maurice Halbwachs, si trova di fronte a un cambiamento profondo, ad una mutazione culturale inattesa e senza precedenti o ad una crisi violenta e drammatica dei suoi ordinamenti; essa avverte, allora, il bisogno di “tornare sul passato, per inquadrare i nuovi elementi che avanzano in un complesso rassicurante di ricordi, tradizioni e d’idee familiari”. Quando ciò accade le religioni sono come degli archivi della memoria collettiva. Le loro porte vengono riaperte e si va alla ricerca, a volte furiosamente, dei simboli che possano rianimare il sentimento d’identità nazionale o di gruppo. Le moderne politiche d’identità, del resto, si caratterizzano come politiche della memoria, nel senso che la loro pretesa è di ristabilire il senso d’appartenenza degli individui ad una nazione, chiedendo soccorso alla religione. Una lingua, un territorio, uno Stato si trasformano così, grazie alle politiche d’identità, in una Parola altra o divina che sia, comunque indubitabile e assoluta, fuori del tempo ma a portata di mano nel tempo, una Parola che, in molti casi, viene rappresentata come la grammatica generatrice delle lingua di un popolo; in una Terra (santa o sacra poco importa) e, infine, un Popolo, identificato nelle narrazioni e nelle retoriche politiche e religiose, con le radici pure e originarie di una società determinata storicamente: una credenza collettiva, dunque, nel mito di fondazione delle origini.
Riferimenti Bibliografici
(*) I titoli contrassegnati con l'asterisco sono disponibili, o in corso di acquisizione, per la consultazione e il prestito presso la Biblioteca della Fondazione Collegio San Carlo (lun.-ven. 9-19)
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