Video integrale
Il sostantivo secolarizzazione e il verbo secolarizzare sono divenuti di uso comune negli anni a ridosso della pace di Vestfalia che nel 1648 pose fine alla Guerra dei trent’anni, l’ultimo e più sanguinoso conflitto a sfondo religioso nell’Europa divisa tra cattolici e protestanti. Non è un caso. Il termine latino saeculum indica uno spazio di tempo definito, opposto all’aeternitas che costituisce l’attributo di ciò che è divino e trascende i limiti dell’esperienza umana. «Secolare» si oppone a tutto ciò che appartiene al «sacro» ed è eterno. Con questo significato, la parola passa nel lessico del cristianesimo latino, che preferisce la coppia di «secolare» e «spirituale», perché meglio riflette l’opposizione tra visibile e invisibile, tra anima e corpo, tra Dio e mondo, divenuta fondamentale con Agostino.
Nelle complesse trattative intavolate per giungere agli accordi del 1648, uno dei maggiori problemi riguardava il destino delle proprietà ecclesiastiche nei territori protestanti, espropriate dai principi lì regnanti. In quelle circostanze, si diede legittimità al cambiamento di proprietà nella forma giuridica della «secolarizzazione», ovvero del passaggio di un bene dal possesso ecclesiastico a quello civile. Gli effetti della pace di Vestfalia andarono oltre le innovazioni lessicali. La religione quale fattore di conflitto politico-militare venne neutralizzata, si iniziarono a considerare i diritti delle minoranze, gli Stati firmatari acquisirono piena autonomia. Le questioni religiose vennero regolate sul principio cuius regio, eius et religio: la religione del sovrano determina quella del territorio.
A partire da questo precedente, il termine «secolarizzazione» è entrato nel vocabolario della sociologia con Max Weber ai primi del Novecento. Egli lo utilizza accanto a quelli di «razionalizzazione» e «disincantamento» per indicare il progressivo abbandono da parte dell’uomo delle spiegazioni magico-religiose della realtà a favore di una visione basata su di una particolare forma di razionalità. Esemplificata al meglio dalla scienza, la razionalità strumentale permette di perseguire un fine determinato, a prescindere da ogni altra considerazione estranea a quello stesso fine. Si vengono elaborando culture e istituzioni politico-sociali sempre più autonome dalla religione. L’uso del vocabolo da parte di Weber voleva essere rigorosamente avalutativo, privo cioè di connotazioni positive o negative, e si basava su di una ricostruzione storica che coglieva nella Riforma protestante il momento decisivo per l’avvio di questo processo. La diagnosi weberiana è stata assunta a prognosi, divenendo per larga parte del XX secolo un luogo comune delle analisi e delle previsioni relative allo sviluppo sociale.
Dopo Weber, l’attenzione degli studiosi si concentra soprattutto sulle implicazioni politiche della secolarizzazione e sulla ritirata del religioso dal contesto pubblico. Si ritiene inevitabile il processo di marginalizzazione dei fattori religiosi nella realtà civile, sia nei suoi aspetti politici, sia in quelli che riguardano gli stili di vita individuali e collettivi. Non viene esclusa la persistenza delle fedi e la possibilità di aderire alle chiese storiche o ad altre forme di organizzazione dell’esperienza religiosa; tuttavia se ne ipotizza la riduzione alla dimensione privata dell’esperienza personale. Così si completa il processo di dissociazione delle strutture politiche, sociali e culturali da quelle religiose, avviatosi nell’Europa occidentale nel corso del XVI secolo.
(da M. Rizzi, La secolarizzazione debole. Violenza, religione, autorità, Bologna, Il Mulino, 2016, pp. 19-22)*
(*) I titoli contrassegnati con l'asterisco sono disponibili, o in corso di acquisizione, per la consultazione e il prestito presso la Biblioteca della Fondazione Collegio San Carlo (lun.-ven. 9-19)
Presso la sede della Biblioteca, dopo una settimana dalla data della conferenza, è possibile ascoltarne la registrazione.