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Per molto tempo, fino all’avvento della globalizzazione e della rete, si è ritenuto che la virtù delle istituzioni pubbliche fosse condizione sufficiente per far funzionare il sistema socioeconomico e orientarlo al bene comune. In sostanza, si è sempre pensato che l’economia di mercato fosse una somma di egoismi individuali di cittadini e imprese, magicamente ricomposti attraverso il deus ex machina delle regole e dell’azione riequilibratrice delle istituzioni. Il miracolo della trasformazione dell’autointeresse di ciascuno nel bene per tutti era realizzato in parte dalla mano invisibile della concorrenza e in parte dall’azione di istituzioni perfettamente informate, benevole e non catturate dai regolati. Questo modello di funzionamento della democrazia, intrinsecamente squilibrato, sta oggi rivelando tutte le sue crepe. È squilibrato perché presuppone il massimo della virtù dalle istituzioni e dalla politica e nessun tipo di impegno civico da cittadini e imprese, difettando, dunque, per eccesso di ottimismo nel primo caso e di pessimismo nel secondo, È sotto gli occhi di tutti, infatti, che i politici sono ben lontani da quest’ideale di onniscienza, perfetta virtuosità e indipendenza dai regolati mentre, allo stesso tempo, si esagera in senso opposto quando si pensa che l’unico movente dell’azione di cittadini e imprenditori sia quello della soddisfazione del proprio miope interesse. L’evidenza empirica ci dice, infatti, che imprenditori e lavoratori hanno motivazioni intrinseche non monetarie che rappresentano la forza più importante che li spinge alla creatività economica. Ce lo rivelano in primis ambiti di attività economica ampiamente diffusi, come quelli del commercio equosolidale, delle banche e finanza etica, dei fondi etici (quasi al 20% di tutta la finanza gestita in Europa), della responsabilità sociale d’impresa, dei gruppi di acquisto solidale, delle cooperative del credito, di consumo e sociali.
Questi fermenti di economia civile sono sempre stati presenti nella storia economica, ma i due fatti nuovi con cui si combinano negli ultimi decenni sono la globalizzazione e la rete. Prima dell’avvento di queste due realtà era più facile per lobby piccole ma agguerrite conquistare potere di mercato e difendere rendite a spese della collettività distratta e poco organizzata. Se da una parte la globalizzazione dei mercati (non ancora accompagnata da un’opportuna globalizzazione di istituzioni di antitrust) consente a tali lobby di espandere ancor più la loro potenza, dall’altra, l’avvento della rete permette alla maggioranza dei cittadini di organizzarsi in modo molto più rapido e meno costoso, rendendo più facile un’azione sinergica di contrasto. Voto col portafoglio e azione in rete rappresentano allora due ingredienti importanti della democrazia del futuro nella quale l’azione dal basso di minoranze attive di cittadini responsabili (che incarnano i desideri di una maggioranza più pigra e meno attiva) si allea con imprese pioniere nella responsabilità sociale e ambientale, per spostare quote di mercato e svegliare la politica più sensibile al contrasto delle lobby, offrendole una sponda. Senza ansietà, ma con convinzioni chiare e tenaci questi nuovi fermenti di economia civile stanno lentamente, ma progressivamente, aumentando il livello di partecipazione dei cittadini portando il sistema economico verso il bene comune.
(da L. Becchetti, Economia, Padova, Messaggero, 2016, pp. 172-174)
Presso la sede della Biblioteca, dopo una settimana dalla data della conferenza, è possibile ascoltarne la registrazione.