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La graduale affermazione del cristianesimo nell’impero romano fu caratterizzata da quel fenomeno che può essere definito la «cristianizzazione del tempo». I cristiani avevano conservato il ritmo ebdomadario della settimana giudaica, che poteva armonizzarsi senza difficoltà a quello della settimana planetaria (giorno della Luna, di Marte ecc.), sempre più diffuso nel mondo romano. Tuttavia, nella “Grande Chiesa” l’osservanza del sabato era stata abbandonata a favore di quella del riposo domenicale, giorno collegato alla resurrezione del Cristo; i vescovi, inoltre, biasimavano, seppure con scarso successo, l’impiego del nome dei pianeti per indicare i giorni della settimana. Nel corso del II secolo, quando fu instaurata la festa annuale della Pasqua, di contenuto specificamente cristiano, la fissazione del giorno divise i cristiani. Alcuni la celebravano al tempo della Pasqua giudaica, che aveva inizio la sera del quattordicesimo giorno del mese di Nisan, vale a dire con la luna piena dopo l’equinozio di primavera; ciò equivaleva a mettere l’accento sulla Passione del Cristo dal momento che, secondo la cronologia del Vangelo di Giovanni, Gesù era stato crocefisso il 14 Nisan; altri, invece, celebravano la Pasqua la domenica successiva alla festività giudaica, valorizzando così la Resurrezione. Il primo conteggio divenne ben presto minoritario, e il concilio di Nicea (325) ne bandì l’uso nella “Grande Chiesa”. A essere generalmente adottato fu il secondo, ma continuarono a sussistere profonde divergenze. Infine, al più tardi alla svolta del III secolo, la festa della natività del Cristo fu stabilita il 25 dicembre a Roma e il 6 gennaio ad Alessandria.
[…] Con Costantino la legislazione imperiale cominciò a tenere conto del tempo cristiano.
Fu così che nel 321 il «giorno del Sole», la domenica, divenne non lavorativo, per permettere alle popolazioni delle città di accedere alle chiese. Nel 389 una legge stabilì i giorni di vacanza dei tribunali: il 1o gennaio, gli anniversari delle fondazioni di Roma (21 aprile) e di Costantinopoli (11 maggio), i sette giorni prima e dopo la Pasqua, le domeniche, gli anniversari della nascita e dell’accessione alla porpora degli imperatori. Il tempo della liturgia cristiana iniziava a insinuarsi nel calendario pubblico. Dal 367 è attestata un’amnistia pasquale e, nel 380, una legge decretò la sospensione di ogni istruzione di processi penali durante la quaresima. A partire dai decenni centrali del IV secolo, i vescovi tentarono di fare concorrenza al calendario delle festività pagane moltiplicando le feste dei martiri e cercando di dare vita a veri e propri cicli di feste cristiane. Nel 392 l’autorità imperiale, probabilmente su loro sollecitazione, vietò le corse del circo durante la domenica, a meno che l’anniversario dell’imperatore non cadesse in quel giorno. Ben presto quest’eccezione cessò di essere tollerata, mentre venivano ufficialmente soppresse le feste pagane; alcune, come le calende di gennaio, riuscirono tuttavia a sopravvivere, come comprovano, durante il IV secolo, le ricorrenti proteste dei pastori. Ma il continuo aumento del numero delle feste cristiane durante la tarda Antichità, il sostegno dell’imperatore e la massiccia adesione al cristianesimo comportarono una trasformazione quasi totale dei tradizionali punti di riferimento del tempo pubblico.
(da M.-Y. Perrin, La cristianizzazione dello spazio e del tempo, in A. Corbin et al., a cura di, Storia del cristianesimo, trad. it., Milano, Bruno Mondadori, 2007, pp. 86-87)*
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