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La tesi cattolica, secondo la quale la grazia è veramente tale, ed è efficace, quando diventa afferrabile nella charitas è, a ben vedere, molto «moderna». Essa è solidale con un’antropologia nella quale l’identità dell’essere umano risiede, in ultima analisi, nella sua capacità di agire e, in particolare, amare. L’essere umano è tale in quanto ama, in quanto è «per altri». Si tratta, naturalmente, di una prospettiva tutt’altro che antipatica, che però non è quella intesa dall’annuncio della giustificazione. Secondo quest’ultimo, l’essere umano non è tale in primo luogo perché ama, ma perché è amato. È vero che le due cose non possono essere separate, ma nemmeno le si può confondere, pena lo smarrimento della buona notizia che Dio indirizza alle donne e agli uomini in Gesù Cristo. L’essere umano è tale in quanto riceve la propria identità e dignità da Dio in Cristo.
Non la propria incapacità di amare, sia essa nascosta o conclamata, ne determina la realtà profonda, ma il dono immeritato dell’Unico che sa che cosa realmente è l’amore. La radice della dignità umana è in un’originaria passività, ricettività; e solo dopo (un dopo teo-logico, non cronologico) è dato cogliere, nell’amore, la dimensione attiva, che ha una costitutiva natura responsoriale, non fontale. Contro tutta la retorica, anche e proprio di matrice protestante, sulla Riforma come scaturigine della modernità, occorre dire che l’idea, tipicamente moderna, dell’homo faber come artefice del proprio destino è l’esatto contrario dell’annuncio della giustificazione. Se mai, appunto, quest’uomo che giunge a se stesso attraverso l’esplorazione delle proprie possibilità, può richiamarsi al Tridentino. Secondo i riformatori, l’essere umano giunge a se stesso perché è immeritatamente raggiunto dalla parola creatrice e trasformatrice di Dio. Prima di ogni fare c’è questo ricevere, che viene accolto nella fede; prima delle nostre opere d’amore c’è l’amore di Dio che ci raggiunge. Se il protestantesimo avesse mantenuto con maggiore saldezza questa tesi centrale della Riforma, esso sarebbe probabilmente stato meno succube della modernità e delle sue mitologie.
La grande ideologia della giustificazione per opere, in base alla quale l’essere umano vale per ciò che fa, continua comunque ad essere attuale anche nel cosiddetto postmoderno; essa è ecumenica come poche altre, conosce varianti di destra e di sinistra, secolari e religiose, cattoliche e protestanti. La teologia evangelica non è nemica dell’operare che secondo Paolo (Fil. 2,13) è prodotto in noi da Dio stesso. Ma essa è appunto evangelica in quanto pone al proprio centro la memoria e l’annuncio di un operare che non è quello umano, bensì quello di Dio, nella sua grazia soltanto. La predicazione del lieto messaggio della salvezza gratuita assume, nella nostra società della prestazione, nella quale, potremmo dire, l’essere umano è ciò che è in grado di realizzare, un profondo significato critico.
L’evangelo annuncia la dignità anzitutto di coloro che la collettività considera un peso: dei bambini (che non a caso costituiscono, nella predicazione di Gesù, il paradigma di coloro ai quali è donato il Regno: Mc. 9,36 s. par.; Mc. 10,15 par.), degli anziani non più in grado di produrre (la cui tutela è centrale per la sensibilità veterotestamentaria, a partire dal quinto comandamento), dei portatori di handicap, dei malati psichici, di coloro che si sono resi colpevoli nei confronti della società. Credo sia giusto ricordare, a questo proposito, che il progetto di «stato sociale» perseguito nella seconda metà del secolo scorso dalle democrazie occidentali rappresentava, con tutti i suoi limiti, una piccola parabola laica del messaggio evangelico di una vita la cui garanzia (giustificazione, appunto) non risiede unicamente nella capacità umana di fornire prestazioni riconosciute dalla società, cioè appunto di giustificarsi per opere. La chiesa di Gesù non può assistere allo smantellamento e alla sistematica denigrazione di tale progetto da parte del neoliberalismo globalizzato senza esprimere la più grave preoccupazione. L’anti-ideale di darwinismo sociale oggi proposto nei fatti e, sempre più sfacciatamente, anche nelle parole costituisce una dottrina della salvezza per opere ferocemente anticristiana e dunque disumana, anche e soprattutto quando è proclamata dalle destre religiose di tutte le confessioni, che al tempo stesso non si vergognano di impancarsi a custodi dei «valori cristiani» dell’Occidente ricco. L’annuncio della giustificazione demistifica la menzogna diabolica dei potenti di questo mondo: la credibilità della chiesa si decide oggi anche e soprattutto sulla sua volontà di rendere testimonianza a tale denuncia.
(da F. Ferrario, Dio nella parola. Frammenti di teologia dogmatica I, Torino, Claudiana, 2008, pp. 100-101)*
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